lunedì 28 novembre 2011

Un calcio in bocca fa miracoli - Marco Presta

Sono un vecchiaccio.
Dovrei dire che sono una persona anziana, come mi hanno insegnato i miei genitori per i quali chiunque, anche un infanticida antropofago, arrivato a una certa età meritava rispetto.
La verità, però, è che sono un vecchiaccio.
Mi lavo poco, mi rado una volta alla settimana e giro per il quartiere indossando un cappotto che, dopo la mia prostata, è la cosa più malridotta che mi porto dietro.
Negli ultimi quindici anni mi sono lasciato andare, come fanno certi calciatori quando capiscono che la partita è persa e allora smettono di giocare e cominciano a dare calcioni agli avversari.
Mangio porcherie di tutti i generi, fumo molto, scorreggio in ascensore. Scaracchio per strada, ma solo quando qualcuno mi guarda.
E poi rubo le biro.
Me le infilo in tasca, ci metto un attimo. Ogni tanto organizzo una battuta di caccia per i negozi. Mi piace guardare le facce di cassiere e bottegai, quando non trovano più la loro penna a sfera. Mi piace fissare i loro occhi sbalorditi, mentre controllano se sia caduta in terra, si frugano, si chiedono dove cavolo l'abbiano messa. Nessuno pensa che un oggetto di così scarso valore possa essere rubato. Da me, poi.
Quando torno acasa dal safari, ne ho almneo una decina nella tasca interna della giacca. Alcune hanno il cappuccio di plastica sulla punta d'acciaio, altre il pulsantino metallico, molte mostrano una scritta su un lato inneggiante a un elettrauto o a una ditta di lavori idraulici.
A casa ne ho talmente tante che Victor Hugo potrebbe scriverci dieci volte I Miserabili. Mi piacciono. Naturalmente, non le uso mai. Non ho niente da scrivere. Però di tanto in tanto le provo, vedo se funzionano ancora. Dopo un po' di tempo, l'inchiostro che hanno dentro, la loro anima, si secca. Capita anche a molte persone, se vogliamo. La Bic è la cosa che più di ogni altra mi ricorda l'essere umano. E' capace d'imprese grandiose - compilare schedine vincenti e assegni scoperti -, di azioni mediocrsi - scrivere liste della spesa e biglietti d'auguro - e di crimini orribili - vergare condanne a morte e lettere d'amore.
Mi piacciono pure le ragazze intorno ai vent'anni. Qualche volta, davanti a un bar o a un negozio, ne avvicino una, l'abbraccio, la stringo e la palpo un poco, sento il profumo dei suoi capelli e del suo trucco. Le dico: "Valentina, Valentina mia!" Lei mi guarda e risponde: "Ma cosa fa? Mi ha scambiata per un'altra!" Allora fingo di mortificarmi e mi scuso: "Dio quanto somiglia a mia nipote... mi perdoni... sa, la vista ormai..." Insomma, ve l'ho detto, sono un vecchiaccio.
Armando invece era diverso.


Un calcio in bocca fa miracoli - Marco Presta


lunedì 21 novembre 2011

Song of Kali - Dan Simmons

Some places are too evil to be allowed to exist. Some cities are too wicked to be suffered. Calcutta is such a place. Before Calcutta I would have laughed at such an idea. Before Calcutta I did not believe in evil -- certainly not as a force separate from the actions of men. Before Calcutta I was a fool.
After the Romans had conquered the city of Carthage, they killed the men, sold the women and children into slavery, pulled down the great buildings, broke up the stones, burned the rubble, and salted the earth so that nothing would ever grow there again. That is not enough for Calcutta. Calcutta should be expunged.
Before Calcutta I took part in marches against nuclear weapons. Now I dream of nuclear mushroom clouds rising above a city. I see buildings melting into lakes of glass. I see paved streets flowing like rivers of lava and real rivers boiling away in great gouts of steam. I see human figures dancing like burning insects, like obscene praying mantises sputtering and bursting against a fiery red background of total destruction.
The city is Calcutta. The dreams are not unpleasant. Some places are too evil to be allowed to exist.


Chapter One


"Today everything happens in Calcutta . . . Who should I blame?"
-- Sankha Ghosh


"Don't go, Bobby," said my friend. "It's not worth it."
It was June of 1977, and I had come down to New York from New Hampshire in order to finalize the details of the Calcutta trip with my editor at Harper's. Afterward I decided to drop in to see my friend Abe Bronstein. The modest uptown office building that housed our little literary magazine, Other Voices, looked less than impressive after several hours of looking down on Madison Avenue from the rarefied heights of the suites at Harper's.
Abe was in his cluttered office, alone, working on the autumn issue of Voices. The windows were open, but the air in the room was as stale and moist as the dead cigar that Abe was chewing on. "Don't go to Calcutta, Bobby," Abe said again. "Let someone else do it."
"Abe, it's all set," I said. "We're leaving next week." I hesitated a moment. "They're paying very well and covering all expenses," I added.
"Hnnn," said Abe. He shifted the cigar to the other side of his mouth and frowned at a stack of manuscripts in front of him. From looking at this
sweaty, disheveled little man -- more the picture of an overworked bookie than anything else -- one would never have guessed that he edited one of the more respected "little magazines" in the country. In 1977, Other Voices hadn't eclipsed the old Kenyan Review or caused The Hudson Review undue worry about competition, but we were getting our quarterly issues out to subscribers; five stories that had first appeared in Voices had been chosen for the O'Henry Award anthologies; and Joyce Carol Gates had donated a story to our tenth-anniversary issue. At various times I had been Other Voices assistant editor, poetry editor, and unpaid proofreader. Now, after a year off to think and write in the New Hampshire hills and with a newly issued book of verse to my credit, I was merely a valued contributor. But I still thought of Voices as our magazine. And I still thought of Abe Bronstein as a close friend.
"Why the hell are they sending you, Bobby?" asked Abe.

Song of Kali - Dan Simmons






mercoledì 16 novembre 2011

Presentazione MONO alla Feltrinelli Genova il 30 novembre

Come vi dissi qua, è uscito il decimo numero di Mono, la rivista monotematica senza essere monotona edita da Tunué. Ci trovate una tavola scritta da me e disegnata da Donald Soffritti.

Il numero verrà presentato a Genova presso la libreria Feltrinelli di Via Ceccardi il 30 novembre a partire dalle 18. Ci saranno alcuni autori tra cui Sergio Badino, Francesco D'Ippolito, Giorgia Marras, Matteo Anselmo, Enrico Macchiavello e il sottoscritto. Qui sotto potete ammirarmi mentre stringo tra le mani una copia della rivista.

Si, indosso il cilindro ogni volta che leggo fumetti. Specialmente in bagno.

E' piena di tavole che riescono a raccontare in maniera varia ed eterogenea il tema "diverso" senza cadere in patetismi o banalità. In alcuni casi mi ha fatto pure sganasciare di gusto. Se passate dalla Feltrinelli fate finta di non conoscermi, sono molto timido. Però passateci lo stesso.

lunedì 14 novembre 2011

Psycho - Robert Bloch

Nel sentire quel rumore improvviso, Norman Bates ebbe un sussulto.
Sembrava che qualcuno stesse battendo alla finestra.
Alzò lo sguardo, rapido, pronto ad alzarsi, e il libro gli scivolò dalle mani nell'ampio grembo. Era solo la pioggia. La pioggia del tardo pomeriggio, che batteva sulla finestra del salotto.
Norman non si era neanche accorto che avesse cominciato a piovere, né che fosse calato il sole. Ma la stanza era buia, adesso, e si allungò per accendere la lampada prima di riprendere la lettura.
Era una di quelle lampade da tavolo vecchio stile, con il paralume di vetro decorato e le frange di cristallo. Sua madre ce l'aveva da sempre, almeno da quanto ricordava lui, e non voleva liberarsene per nessuna ragione. Non che Norman avesse qualcosa da obiettare, a dire il vero; aveva vissuto in quella casa per tutti i quarant'anni della sua vita, e c'era qualcosa di gradevole e rassicurante nell'essere circondato da oggetti familiar. Là dentro tutto era in ordine, e al suo posto; fuori no, era diverso, era lì che cambiavano le cose. E la maggior parte di quei cambiamenti rappresentavano quasi sempre una potenziale minaccia. Mettiamo il caso che avesse trascorso l'intero pomeriggio a passeggiare, per esempio. Si sarebbe potuto trovare in na stradina isolata o in mezzo a qualche pantano, proprio mentre cominciava a piovere. Sarebbe stato costretto a tornarsene a casa al buio, barcollando, bagnato fino alle ossa. Si può anche morire di freddo così, e poi, a chi andrebbe di starsene fuori, di sera? Molto meglio qui in salotto, sotto la lampada, in compagnia di un buon libro.
Quando piegò il capo per riprendere a leggere la luce illuminò il suo volto gonfio, mentre il riflesso si allungava dagli occhiali senza montatura fino a inondare la pelle rosa del cranio, sotto i pochi capelli rossicci.
Davvero un bel libro, non c'era da meravigliarsi che non si fosse accorto del tempo che passava. L'imperso degli Incas, di Victor W. Von Hagen. A Norman non era mai capitato di imbattersi in una così ricca quantità di notizie curiose. Per esempio questa descrizione della cahcua, o danza della vittoria, in cui i guerrieri formano un grande cerchio, muovendosi e contorcendosi come un serpente. Diceva:

Il rullo dei tamburi veniva di norma evocato da quella che una volta era stato il corpo di un nemico, la pelle era stata strappata e tesa al massimo sul ventre per farne un tamburo. Tutto il corpo faceva da cassa armonica, mentre il suono usciva dalla bocca aperta... grottesco, ma efficace.

Norman sorrise, poi si concesse il lusso di un piccolo brivido di soddisfaione. Grottesco ma efficace.. doveva essere proprio così! Scorticare un uomo, probabilmente vivo, e poi tendergli la pelle della pancia per usarla come tamburo! Come facevano, come riuscivano a conservare un cadavere in quel modo, senza che andasse in decomposizione? E più in generale, che tipo di mentalità dovevano avere per arrivare anche solo a concepire un'idea del genere?

Psychi - Robert Bloch.