martedì 23 dicembre 2014

Capitani Coraggiosi e ABEO Liguria. Di quando Fioravante Sbragi salvò quattro ragazzi in volo

Qualche settimana fa Sergio mi chiede se mi interessa scrivere una storia in due tavole per ABEO Liguria, associazione ONLUS che assiste bambini emopatici oncologici e i loro genitori, per i disegni di Federico.

Flashback personale
Sono ricoverato in oncologia pediatrica, a Milano, presso l’Istituto Nazionale dei Tumori. Nonostante abbia 25 anni, il mio tumore è tipico dei bambini, per questo mi trovo a condividere la stanza con Michel, 5 anni, e sua mamma Martina. Ogni tanto esco dalla camera e me ne sto una mezz'ora nella stanza dei giochi. Tra sacche per l’alimentazione, flebo piene di chemio e pupazzi che parlano, i bambini giocano e ridono. Circondati dai genitori e dai volontari dell’Istituto che insegnano loro a disegnare, leggono storie, giocano con loro. Io riesco si e no a dire due parole ai bambini prima di bloccarmi in un mutismo che funge da diga a bestemmie e rabbia per quanto trovi senza senso la loro malattia. I volontari sanno il fatto loro e sono di aiuto a quei bambini.
Fine flashback personale

Si, dico a Sergio, scrivere le due tavole mi interessa.
E mi racconta un aneddoto di Fioravante Sbragi, asso dei cieli che ha insegnato a migliaia di ragazzi e ragazze a volare. Uomo pieno di energia e voglia di fare e bregare, protagonista di imprese aeree come atterrare con un solo motore funzionante, senza carrello e praticamente senza un graffio. O quando, dopo un ammaraggio di fortuna a causa di un guasto, si fece una nuotata di quaranta minuti per tornare a riva col nubifragio, a 70 anni suonati. E non ci pensava un attimo ad aiutare chi si trovava nei guai. Come quando, sentito un SOS, spiccò il volo per portare in salvo quattro ragazzi che si trovavano a bordo di un aereo dal pilota svenuto.

Che è l’aneddoto raccontatomi da Sergio divenuto la storia in due tavole pubblicata sulla rivista di ABEO Liguria. 

Perché Fioravante sulla rivista di ABEO? Perché la vedova del capitano, Fernanda Gavarini, ha elargito una sostanziosa donazione ad ABEO per la creazione di 8 mini appartamenti per ospitare i bambini emopatici e oncologici, e i loro genitori, che hanno bisogno di un sostegno in un periodo per loro difficile. 

Flashback
2008, dopo il trapianto di fegato. Mi trovo a Milano, in un appartamento gestito da PROMETEO, onlus che sostiene grazie al lavoro dei volontari i pazienti oncologici epatici e trapiantati, come il sottoscritto. Nell’appartamento in cui mi trovo passo le prime settimane post-trapianto e svariate notti negli anni. È un appartamento condiviso, tre camere da letto per altrettanti pazienti e un parente come accompagnatore. Per chi come me si trova lontano da casa è una manna. Negli anni ho conosciuto diversi trapiantati e i loro parenti. Un modo per sentirsi meno unici, meno diversi e per poter condividere informazioni, parole e ricordi con chi ha gli stessi problemi. Un sostegno concreto e un punto di riferimento in un periodo in cui molto spesso ci si sente senza un porto sicuro.
Fine flashback

E quindi poter dare un contributo minuscolo a un’associazione che sostiene malati e parenti in circostanze critiche mi è piaciuto proprio. Ancora di più perché l’aneddoto di Fioravante è uno di quegli eventi da “realtà che supera la fantasia”, ho potuto collaborare con due colleghi che sono ancora prima due amici e ho potuto sceneggiare una storia brevissima, uno dei formati che personalmente prediligo.


Online trovate il pdf con le due tavole, disegnate da Federico (che ha messo una mini anteprima sul suo blog qua) e il tutto è nato sotto la supervisione di Sergio e StudioStorie

Sul sito di ABEO inoltre trovate tutte le info riguardanti l’associazione e in che modo, se la cosa vi piace, poter dare il vostro contributo.

martedì 16 dicembre 2014

5 idee per un regalo al vostro amico che scrive (che sarei io, se non si capisse).

Oh oh oh lo spirito natalizio scorre selvaggio da queste parti e nel caso moriste dalla voglia di fare un regalo al sottoscritto ho pensato di agevolarvi con qualche spunto. Che, si, è il pensiero che conta, ma a me i pacchetti piace un casino scartarli fisicamente.

5) Blocknotes, taccuini, quaderni, generici blocchi di carta. Non importa forma, dimensione o foliazione. Come sanno gli amici e i colleghi che mi hanno visto lavorare in questi anni, quando si tratta di buttare giù idee ma anche in fasi più avanzate, sono tipo da carta e penna. Niente pippe da “ah, il profumo della carta!” o “Eh ma vuoi mettere l’inchiostro”, è solo che per come funzioniamo io, il mio cervello e le mie abitudini, ora come ora trovo più comodo fare schemi, tirare righe, collegare parole e baloccarmi concetti sulla carta. Prima o poi magari troverò un programma per farlo a computer, ma per ora nisba.


Comunque se proprio vi sentiste in vena di un taccuino specifico, ultimamente sono in palla con la linea della Ogami, carta di origine minerale, leggeri e robusti, design che mi ispira e nella versione total black o total white sono pure discretamente eleganti. No Moleskine, mi fanno cagare.

4) E come scrivi, se non c’hai una penna? Come sopra, è solo una questione di abitudine e di meccanismi e pignolerie che si creano nel tempo in maniera più o meno involontaria. Immagino che si sia in molti a scarabocchiare su carta. Ecco, quando butto giù idee, anche se si tratta di parole, nelle prime fasi lo considero uno scarabocchio: un modo come un altro per fare riscaldamento alla mano, ma soprattutto al cervello. Per non parlare della mia abitudine di tracciare un abbozzo di come sarà divisa la tavola in vignette quando si tratta di fumetti. Ergo, penne, matite, portamine. Ultimamente mi è venuta la fissa delle Pilot a scatto, BPS Matic, punta fine, inchiostro nero. Quando andavo alle medie erano le penne dei secchioni. Io usavo le BIC sbavanti, o quelle che mi regalavano i negozianti del quartiere. 

Niente stilografiche. Belle eh, ma ne ho una dozzina che piglia polvere a partire dal ’91.


3) Tea. Non importa che sia inverno o estate, mattina pome o sera. Una tazza di tea me la godo sempre. E sono di quelli che ha un tea per quasi ogni momento. Diciamo che da quando per questioni di salute sono divenuto praticamente astemio, sublimo la mia voglia di sbronza bevendo tea altisonanti da prezzi discutibili. Da qualche tempo amo duro quelli della KUSMI. Ci sono una marea di varietà diverse, nere, verdi, bianche, aromatizzate o pure. E hanno delle confezioni in metallo molto fiche. Probabile che facendo due conti mi converrebbe farmi decotti di oppio, ma oh, è buono buono. Ma pure un onesto Twinings Intense Premium Tea per il tea del mattino ha il suo perché.

2) Caffè. Perché se si bevono due litri di tea al giorno, la cosa corretta è puntellarli con mezza dozzina di tazzine di caffeina. Però per caffè intendo “andare al bar a pigliarsi un caffettino”. E il regalo consiste proprio in questo, bersi una tazzina in compagnia per fare un po’ di stretching hai ai pensieri, dare mobilità alle opinioni, rinforzare i ricordi e allenare battute e aneddoti. Io c’ho la fissa dell’atmosfera da bar, in cui guardare un po’ le persone che si mischiano tra loro, rubare qualche discorso, appuntarsi una maniera, scoprire un parlare diverso dal proprio. Poi se il caffè lo pagate voi, pure meglio #zena

1) Derek! Denzel! Ah, no, DAVE! Ok, questa è una nuova entry che c’entra e non c’entra col fatto che io scriva o meno. La maggior parte dei miei amici mi chiama Dave dai tempi del liceo. E il cattivo di Pinguini di Madagascar, di cui vi ho parlato qui e se ci ripenso rido, si chiama Debby, no Daniel, ah già DAVE! Ed è un polipo, ed esistono dei pupazzetti con le sue fattezze. Non dico che a 34 anni muoio dalla voglia di avere un peluche a forma di polipo viola, ma lo dico.


Ma pure un caffè basta e avanza. Buone feste!

venerdì 5 dicembre 2014

Carini, coccolosi ed esilaranti - I Pinguini di Madagascar

I Pinguini di Madagascar è uno dei cartoni animati più divertenti che abbia mai visto. Non di quest’anno, di sempre. Considerando quanto mi faccia ridere la serie animata un po’ ci speravo, ma il film ha superato di gran lunga le mie aspettative, tirando fuori 90 minuti in cui si ride praticamente di continuo.

Se siete tipi da “La storia è regina!” probabile che la trama non vi dica nulla: c’è un cattivo che vuole vendicarsi dei pinguini. Non solo dei pinguini protagonisti, ma di tutti i pinguini. Perché loro sono carini e coccolosi e hanno rubato la scena, in vari zoo in giro per il mondo, a lui che è brutto. Peccato che i pinguini siano si carini e coccolosi ma siano anche spie altamente specializzate in grado di cavarsi d’impiccio.


 Se invece siete tipi da slapstick, che vi divertite più con la comicità di Tex Avery, per cui l’accumulo di gag, scenette comiche, tormentoni e robe funamboliche che si susseguono a rotta di collo sono il vostro pane, sono abbastanza sicuro che sia il film giusto per voi.

Insomma, è una spy story in tutto e per tutto, con un attitudine action ma, soprattutto, è un cartone animato comico. 

Perché ne i Pinguini si ride di continuo, tutto succede con l’unico scopo di far scoppiare la risata sul momento, di mettere in scena premesse evidentemente appoggiate per una gag successiva, tormentoni che si affastellano per divertire e mantenere alto il rapporto minuti-battute. E tutto o quasi accade in movimento.


Ora tiro fuori un paragone esagerato: avete presente le sequenze più cinetiche del Tin Tin di Spielberg? Ecco, Simon J Smith ed Eric Darnell, i registi di Pinguini, non sono di certo Spielberg, ma l’attitudine che hanno messo in un paio di sequenza, tra cui quella ambientata a Venezia e quella del furto del velivolo da parte di Skipper e soci secondo me sprizzano quel tipo di attitudine tipicamente Spielbergiana: il movimento racconta e l’ambiente in cui le cose accadono deve essere sfruttato in tutti i modi per raccontare. In quelle due sequenze credo ci sia l’attitudine del film: siamo qua per farvi divertire muovendo questi personaggi in situazioni esagerate.

Guardate cosa succede se li lanciamo a rotta di collo da un aereo quattro pinguini che sono anche spie ed eroi d’azione: succede che Tony Stark in Iron Man 3 ce lo sgrulla, ecco cosa.

Prendiamo i rispettivi capi dei due team che devono salvare il mondo e facciamoli battibeccare tra di loro in tipico cliché da film d’azione, e abbiamo un dialogo da lacrime agli occhi, che funziona non solo per le battute, e intendo le parole dette, ma per come questo dialogo è stato girato e montato. Perché se fusione tra action e commedia slapstick deve essere, che a farci ridere a crepapelle e a tenerci con gli occhi sgranati allora siano l’azione e il movimento.


Come i movimenti e le movenze del cattivo e dei suoi sottoposti. Il cattivo, Dave (o è Dereck? Darryl? Denzel?) si muove in una maniera che non ha il minimo senso, è esagerata, è poco fluida, angolosa ma proprio per questo fa ridere, lo rende diverso da tutti gli altri e grottesco e, per quanto possibile in un film per bambini, inquietante. Ovvio, non siamo dalle parti del Giudice di Chi ha incastrato Roger rRabbit, ma probabile che gli occhi di Dave, e la sua assenza di rimorso nell’aver (forse, ok, lo concedo) ucciso un pinguino, possano toccare con il loro stridore rispetto all’atmosfera comica del film qualche bimbo.

Sottolineo la questione movimento e cartone animato, nel senso di cartoon, perché in questo lungometraggio è quello che ci viene dato senza mai promettere altro: non è un cartone animato che vuole essere realistico, non vuole mettersi la giacchetta da StoriaImportante™, drammatica o con chissà quale sotto testo. Vuole far ridere a crepapelle per 90 minuti, qui e ora, con un controllo dei tempi comici ammirevole, con un’inventiva visiva ricca e con un ritmo serrato.

Per i miei gusti ci riesce, nonostante personaggi di contorno poco approfonditi (per quanto il loro essere palese presa per il culo dell’EroeD’Azione troppo cool e consapevole un po’ li salva, “Ecco perché bisogna guardare l’esplosione!”) e la trama davvero esile.


Però non è per le trame che guardiamo di continuo le disavventure di Wile E. Coyote, no?