venerdì 20 febbraio 2015

Il taccuino migliore è quello che hai riempito di idee. O di come organizzo il mio lavoro negli ultimi tempi.

Qua sul blog e soprattutto sui social ho già detto quanto mi piacciono i taccuini, soprattutto se hanno un design curato, se sono robusti, comodi e se ci si scrive bene sopra. Ogni tanto qualche collega oppure qualche amico che non scrive ma è curioso, mi chiede perché usi così tanto i taccuini e in che modo li usi. Provo a rispondervi.

Il perché è molto semplice: per raccogliere le idee mi trovo molto meglio con carta e penna che con monitor e tastiera. Carta e penna mi permettono una libertà di movimento che, ora come ora, col digitale non ho ancora trovato. Si, ci sono programmi fatti apposta per prendere appunti o fare schemi e mappe mentali, ma quelli che ho testato non mi soddisfano. Lo so, una motivazione molto terra terra ma dopotutto vi sto parlando di questioni pratiche. Come pratici sono i modi in cui li uso. Modi che nel tempo variano, un po' perché ne provo di nuovi vedendo quelli usati da altri scrittori, un po' perché magari mi parte un progetto in zone che non ho mai battuto prima e devo imparare a gestire aspetti del lavoro che non ho mai affrontato prima.

Da qualche mese, per esempio, adotto una strategia che non avevo mai provato e che mi sta aiutando a organizzare meglio le cose. È di una banalità sconcertante ma non ci avevo mai pensato.  Guardando la foto orrenda che vi metto qua sotto credo si intuisca questa botta di genio che ho avuto:



Ogni taccuino è dedicato a un singolo e distinto progetto. Ve l’ho detto, banale e anticlimatica. Però per me è una novità.

Per anni ho usato un solo taccuino per raccogliere le idee, gli spunti, gli appunti che mi passano per la testa o per i 5 sensi. E continuo a farlo, sia chiaro. Da una parte lo trovo essenziale e so che non ne posso fare a meno se voglio tenere traccia di cose che mi interessano, dall’altra l’ho sempre trovato un po’ confusionario se ci si segna molte cose, magari per progetti diversi. Certo, uno potrebbe dirmi di non appuntarmi tutto, che magari non serve. Però quando si tratta di idee e segnarsi le cose io sono di quelli che considera questo specifico consiglio di Stephen King una minchiata:

“Se non ti ricordi un’idea significa che non era un granché.”

e sono più della scuola di Warren Ellis

“Tu non sei Stephen King.”

E infatti io mi segno praticamente TUTTO.

Il problema di scrivere tutto è che gli appunti diventano spesso innavigabili. Probabile che sappiate di che parlo anche se non scrivete di mestiere: se avete mai accumulato troppe mail, oppure vi siete segnati quel centinaio di link fichi dicendo “si poi controllo” o le decine di video che avete messo in una playlist pensando “quando c’ho due minuti”, ci stiamo capendo. Non crediate che chi scrive affronti chissà quali problematiche esoteriche e complesse; una grossa fetta del lavoro di chi scrive consiste nel processare informazioni e renderle coerenti in qualche modo. Non è proprio semplice, ma non è di certo la cosa più complessa della storia. E ci sono vari metodi per cercare di imbrigliare il caos e dargli schiaffazzi finché non prende una forma che più o meno vi aggrada.

Ora, io continuo a segnarmi TUTTO su un  paio di taccuini che porto quasi sempre con me. Il passo successivo, per diversi anni, è sempre stato più o meno quello di riversare gli appunti sul computer, smistandoli nelle varie cartelle: progetti in corso, progetti in nascita, idee vaghe, cose a caso. Più o meno la cosa ha funzionato.

Da qualche mese però ho deciso di provare un approccio diverso, aggiungendo uno step cartaceo tra i due che vi ho esposto. Ora invece di passare dai taccuini generici al pc, preferisco raccogliere tutti gli appunti di un determinato progetto in un taccuino dedicato solo a lui. Il motivo per cui i notebook che vedete nella foto hanno tutti colori diversi è per aiutare a distinguerli e dare una mano in più a mantenere un certo ordine nei miei documenti. Di nuovo, si tratta di una mia predilezione per l’uso di carta e penna che mi aiuta, copiando a mano gli appunti, a raccoglierli con una certa logica che il pc, per ora, non mi permette. E forse non è solo una questione di logica, ma anche di manualità. Che quando si parla di scrittura sembra sempre sia tutto metafisico e telepatico, ma, per come scrivo io, sento il bisogno di poter usare le mani e poter muovere qua e là gli appunti. Tracciare segni sulla carta mi facilità la concentrazione.

Posso farmi uno schema veramente scemo della trama, una banalissima freccia che va da sinistra a destra e sotto di essa segnarmi “inizio - casino incredibile - soluzione geniale - finale pirotecnico” tanto per dare una direzione ai miei pensieri.

Oppure raggruppare una serie di parole che toccano l’argomento della storia cui lavoro e che so mi aiuteranno a ragionarci sopra e trovare spunti tipo “benzina tergicristalli fango camomilla mappa pesca” e da ciascuna far partire una freccia con un altro termine per libera associazione.

O ancora segnarmi i nomi dei personaggi che mi devo studiare se voglio tentare di scrivere una serie già esistente, e vicino loro appuntarmi il carattere che ne ricavo leggendo le loro storie.

Oppure tracciare dei layout delle tavole da sceneggiare e disegnare degli omini tanto stilizzati e brutti quanto, per me, perfetti per chiarirmi le idee su come muovere i personaggi all’interno di vignette e tavole.
Insomma, lo ripeto, è una questione pratica, proprio manuale: carta e penna con me funzionano bene. E soprattutto sono molto portatili, il che diventa utile quando mi trovo a lavorare in giro. Non che io sia un reporter o viaggi di continuo, tutt’altro. Ma ho da sempre l’abitudine di scrivere e leggere anche in pubblico. Uno dei vantaggi che apprezzo di più del mio lavoro è quello di poterlo fare seduto al tavolo di un bar. Prima o poi ne parlerò diffusamente, ma diciamo che poter osservare le persone intorno a me, o magari rubar loro qualche discorso, mi riempie sia la testa che lo spirito.

Quindi poter pigliare un taccuino, tipo quello con i cerchi bianchi che vedete nella foto, e avere con me tutto, o quasi, quello che mi serve per poter lavorare su quel progetto seduto su una panchina, o in biblioteca o al tavolo di un bar in riva al mare, è un vantaggio che trovo meraviglioso.

Certo, tutto quanto vi ho raccontato qua, si riferisce solo a una parte del lavoro che faccio. Nel momento in cui devo scrivere la sceneggiatura, son costretto a farlo col pc (per quanto ne abbia scritta più di una col portatile in un bar), stessa cosa se devo spaccarmi di ricerche online. Il taccuino non è l’unico strumento di lavoro che uso, ma è di sicuro uno di quelli che preferisco. Col suo essere raccolto, concluso in se stesso, mi da l’impressione che i miei appunti, per quanto confusi e in fase di coordinamento, siano al loro posto.

Altro discorso quando il materiale accumulato mi pare sufficiente per poter lavorare in maniera più massiccia, coordinata e precisa sulla trama. A quel punto ho bisogno di fogli, tipo banalissmi A4, e fogli più piccoli, dimensione da post-it, su cui segnare le varie fasi della storia, da muovere qua e là per montare la storia. Però sempre col taccuino sotto gli occhi che mi funge da vademecum se durante la stesura della trama mi sembra di prendere una direzione sbagliata.


Insomma, il mio metodo si prendere appunti e usare i taccuini più o meno è questo. Studiare e conoscere i metodi altrui può darci spunti nuovi per migliorare i nostri. Il mio potreste trovarlo utile, come una cagata pazzesca. Il che va comunque bene perché, citando Bruce Lee “Assimila quanto trovi di utile, scarta quello che ti sembra inutile e aggiungi quello che è unicamente tuo.”. Lui parlava di arti marziali, ma credo si adatti a tutte le attività.