"...a dire il vero io non ho mai avuto una grande stima per i romanzi polizieschi, e mi rincresce che anche lei se ne occupi. Tempo sciupato. Ciò che lei ha raccontato ieri nella sua conferenza non era affatto male, anzi; da quando gli uomini politici deludono in misura tanto grave - e io ne so qualcosa, sono un uomo politico anch’io, consigliere nazionale, come forse saprà (non lo sapevo affatto, sentivo la sua voce come venisse da lontano, trincerato dietro la mia stanchezza, ma attento come una bestia nella tana) - la gente spera che almeno la polizia sappia mettere ordine nel mondo, benché io non possa immaginare nessuna speranza più pidocchiosa di questa. Ma purtroppo in tutte queste storie poliziesche ci si infila sempre anche un’altra ciurmeria. Non mi riferisco solo alla circostanza che tutti i vostri criminali trovano la punizione che si meritano. Perché questa bella favola è senza dubbio moralmente necessaria. Appartiene alle menzogne ormai consacrate, come pure il pio detto che il delitto non paga - mentre basta semplicemente considerare la società umana per capire dove stia la verità a questo proposito -, ma lasciamo correre tutto questo, se non altro per un principio puramente commerciale, dato che ogni pubblico e ogni contribuente ha diritto ai suoi eroi e al suo happy ending, e tanto noi della polizia quanto voi scrittori di mestiere siamo tenuti a fornirlo nella stessa maniera. No, quel che mi irrita di più nei vostri romanzi è l’intreccio. Qui l’inganno diventa troppo grosso e spudorato. Voi costruite le vostre trame con logica; tutto accade come in una partita a scacchi, qui il delinquente, là la vittima, qui il complice, e laggiù il profittatore; basta che il detective conosca le regole e giochi la partita, ed ecco acciuffato il criminale, aiutata la vittoria della giustizia. Questa finzione mi manda in bestia. Con la logica ci si accosta soltanto parzialmente alla verità."
La promessa - Un requiem per il romanzo giallo - Friedrich Durrenmatt - 1958
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