Triple Threat Watch: tre film che toccano temi simili o limitrofi, ognuno in maniera un po’ diversa. Qua il teaser della rubrica, qui sotto il secondo contendente alla non-vittoria: Upstream Color.
Due persone che hanno subito un abuso fisico e psicologico profondissimo si conoscono e si sentono attratti tra di loro. Con l’andare avanti della relazione scoprono di avere molto in comune: cicatrici sul corpo quasi identiche, cicatrici nella psiche quasi identiche. E quando si raccontano aneddoti dell’infanzia non riescono a capire a chi dei due appartengano i ricordi.
Upstream Color è un film molto personale. Shane Carruth lo ha scritto, diretto, co-montato, ne ha diretto la fotografia, ne ha scritto la colonna sonora e ne interpreta il protagonista maschile. Un desiderio così forte di controllare la storia che vuole raccontare si risolve in una messa in scena molto personale e poco mediata, che riesce in qualche modo a giocare con tutti gli aspetti del cinema: immagine, recitazione, montaggio, sonoro, musiche.
Un controllo che gli permette di affrontare la storia di una ragazza a cui viene disintegrata la tranquillità dell’esistenza e che cerca poi di rimettersi in piedi con un approccio molto personale.
Riassumere la trama credo sia un peccato, un po’ perché tutto il film si regge sul rapporto tra i due protagonisti, un po’ perché questo non è un film che trova la sua ragione d’essere in una trama forte. Non è un thriller, non è un giallo, nemmeno una corsa contro il tempo per salvare il mondo. Perciò provo a riassumere solo l’inizio:
Kris viene aggredita da un uomo. La costringe a ingoiare un parassita. Il parassita la rende facile all’ipnosi dell’uomo. Kris si risveglia dopo un paio di giorni: ha perso tutti i suoi averi, ha cicatrici sul corpo da cui è stato estratto il parassita, ricorda poco o niente.
Qualche tempo dopo si è rifatta una vita, solitaria e dolorosa. Conosce Jeff.
Se l’attacco (sia del film che l’attacco alla vita della protagonista) è tutto sommato lineare, dopo pochi minuti Carruth ci mette di fronte agli elementi che caratterizzano la pellicola: le percezioni personali della realtà vengono cambiate, l’identità della persona viene messa in discussione, le cicatrici sono li per rimanere. Tutto quanto succederà dopo non sarà un ritorno allo status quo ma un tentativo di imparare a convivere con una nuova situazione.
Per poter rendere sullo schermo quanto sia difficile convivere con un trauma e quanto sia ossessivamente penetrante questo trauma nella vita quotidiana e nel rapportarsi con l’altro, Carruth sfrutta tutta una serie di suggestioni usando immagine e suono in ottimo concerto. Credo che una delle parti migliori sia quando i due protagonisti, lungo il loro percorso di innamoramento, di costruzione della reciproca fiducia e di una vita in comune passano giornate in compagnia l’uno dell’altra: passeggiate in città, ore a letto, mangiare insieme. Però data il loro peculiare passato che torna a inseguirli, o che non li ha mai abbandonati, questi momenti insieme diventano sfaccettati, si rompono e ricompongono in mille pezzi, frasi ripetute, immagini che ritornano, aneddoti ricordati da uno e poi dall’altra. Ma quello è successo a me o a te? Ma siamo due individui o una coppia? O un nuovo individuo?
Grazie agli spunti sci-fi ci sono motivi per cui questi due si ritrovino prima per caso e poi si avviluppino faticando quasi a capire chi sia chi. Però in questo film il mistero scientifico, chi siano i perpetratori di un’operazione lasciata sempre un po’ nel non detto sono misteri che importano relativamente poco.
Come funziona davvero il parassita non viene mai esplicitato. Chi è che lo alleva? Perché lo alleva? Come mai lo impiantano anche dentro i maiali? E quello che gira le campagne facendo sampling, le cui musiche pervadono l’intera pellicola?
Il fascino è, per me sia chiaro, vedere come due persone affrontino le rispettive difficoltà nel ritrovare un equilibrio: aprirsi fino in fondo perché non c’è nessun’altra via nella speranza che l’altro ci accolga e non fugga di fronte ai nostri difetti. Osservare come i comportamenti ossessivo compulsivi dei protagonisti (causati dall’ipnotista? O ne erano già affetti prima?) vengano a volte usati come anti-stress, a volte rischino di rendere impossibile la loro vita oppure possano essere in qualche modo modellare per aiutarli a scoprire il segreto che li lega. Un desiderio profondo di uscire da una serie di loop che rende la loro vita molto spesso un semplice tamponare certi comportamenti piuttosto che viverla a pieno.
A suo modo credo che Upstream Color sia una storia d’amore. Si, c’è questo parassita dai poteri strabilianti (anche se tra uccelli zombie e insetti posseduti dai parassiti, c’è da chiedersi quanto sia improbabile accada. ma appunto non è quel tipo di film), ci sono almeno due gruppi di persone che sfruttano in qualche modo tale parassita, ci sono diverse persone che ne sono affette, la realtà si distrugge e sgretola una volta che si entra sotto il suo influsso.
Però è la storia di due persone ferite che si trovano, forse a causa di un parassita, forse non è il loro libero arbitrio a volerle insieme, ma una volta entrati in contatto i due fanno di tutto per diventare coppia. C’è una scena, niente spoiler, vi dico solo “abbraccio nella vasca da bagno”. Ho l’impressione che il cuore del film sia tutto in quella scena e in particolare in quell’inquadratura dall’alto.
Ma come sempre dipende da come ciascuno di noi legge il mondo e i suoi segni.
Prossimo contendente nel Triple Threat Watch: Under The Skin, su queste pagine venerdì.
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