Triple Threat Watch: tre film che toccano temi simili o limitrofi, ognuno in maniera un po’ diversa. Qua il teaser della rubrica, qui sotto il primo contendente alla non-vittoria: Coherence.
Coherence è un film di fantascienza con un’idea e uno sviluppo interessanti ma con un budget bassissimo. Così basso da essere ambientato in un paio di stanze e pochi sparuti esterni, resi giganteschi dal buio che non permette di vedere nulla o quasi. Un cast di otto attori e nessuna comparsa. Effetti speciali praticamente inesistenti.
Eppure regge bene i suoi 90 minuti scarsi di durata, perché l’idea di fondo acchiappa ed è di quelle che ti fanno arrovellare il cervello e incuriosiscono, a prescindere secondo me poi da quanto sia davvero salda e a prova di proiettile la trama.
Niente di nuovo sotto il sole, anzi: un gruppo di amici scopre che esistono infiniti universi tutti uguali ma tutti diversi e che a volte questi infiniti universi entrano in contatto.
Loro lo scoprono durante una cena banalissima, o banale quanto può esserla tra amici di lunga data quando le vite amorose di un paio di loro si sono incrociate in maniera burrascosa, alcuni hanno problemi con l’uso di sostanze (un po’ di ketamina come aperitivino?), più o meno tutti sono intorno ai 40 e chi più chi meno si mette a tirare le somme di quanto fatto e non fatto, delle occasioni acchiappate al volo oppure lasciate scappare via. Sarebbe bello tornare indietro e fare altre scelte, saremmo tutti più felici, no?
Insomma.
Insomma, potrebbe essere un drammetto pallosissimo di gente che si parla addosso, ma grazie all’impianto sci-fi le persone che si parlano addosso (e parlano molto, sappiatelo) non sono sempre le stesse. O forse sono sempre le stesse, ma sono le stesse di altri universi? Che scelte hanno fatto, GliAltri? Ma chi se ne frega, degli altri. Che scelte ha fatto l’altro me stesso? Ha fatto tutte le scelte giuste, o tutte quelle sbagliate? Siamo/sono destinato a fare solo scelte sbagliate?
Magari io-l’altroio voglio fargli-mi la pelle.
Questo tipo di domande con le relative risposte più o meno esplicite e più o meno sottintese sono la base su cui poggia la forza di Coherence. Il film di James Ward Byrkit rientra in quel filone sc-fi (o di qualsiasi altro genere cinematografico) in cui la ciccia risiede nelle riflessioni, spunti e suggestioni a proposito di cosa siano le persone e come funzionino, piuttosto che in scene d’azione e spettacolarità varie. Se vi aspettate un gruppo d’amici normali che in circostanze anormali diventa un gruppo di eroi, cercate un altro film.
Quando gli amicici si incontrano, si danno il benvenuto e poi si mettono a tavola per la prima volta vediamo e sentiamo subito i vari scazzi che ciascuno ha con gli altri e anche con se stesso. Però è solo quando la realtà comincia a screpolarsi che questi scazzi iniziano ad assumere maggior peso: il nervosismo cresce, i rapporti di forza si evidenziano, fiducia e dubbio si scontrano e strangolano l’un l’altro e sembra che ciascuno cominci a pensare solo a se stesso.
In un film ambientato praticamente in tre stanze e con solo 8 facce, sono proprio queste facce a diventare gli effetti speciali della pellicola. Il cast in questo si muove molto bene, in alcuni casi benissimo come Maury Sterling, Nicholas Brandon (si, Xander. E si, anche l’altro Xander, come vi potreste aspettare.) ed Emily Baldoni. Ogni attore si trova nella sfaccettata e rischiosa sfida di dover interpretare come minimo due variazioni sullo stesso e identico personaggio, identico quanto può esserlo un personaggio che esiste in infiniti universi. Quando un attore deve variare lo stesso personaggio c’è sempre il rischio che per sottolineare le differenze le urli, e non solo urli con la voce ma con tutti i muscoli del corpo. Qua per fortuna le cose sono più sottili e sfumate. È da piccole cose come il movimento del corpo, tic del viso o tono della voce che riusciamo a capire quando il personaggio che abbiamo di fronte non è quello che abbiamo visto fino a ora.
O forse lo è, ma è solo nervoso perché sta capendo che, vada come vada la serata, la sua vita non sarà mai più la stessa, dopo questa notte in cui ha scoperto che migliaia di suoi gemelli esistono in migliaia di universi? Se sai che da qualche parte un tuo te stesso ha una vita meravigliosa, tornare al tuo universo al ripieno di frustrazione sarà uguale a prima?
Nonostante la premessa del film possa dare adito a qualche mindfuck inestricabile, mi pare che la trama si segua piuttosto agilmente, sia grazie a un paio di trucchetti visuali così semplici da essere quasi banali (glowsticks), sia per alcune parti espositive tanto naturali (“Avete presente Sliding Doors?”) quanto didascaliche e un po’ di comodo (“Mio fratello è fisico teorico, c’ho qua i suoi appunti!”) sia perché bene o male noi spettatori seguiamo l’intera vicenda attraverso gli occhi di un solo personaggio, Emily, dall’inizio alla fine mantenendo un filo magari zig-zagante ma piuttosto lineare.
Ma come dicevo sopra, se premessa, segone pseudo scientifico e trama sono sfiziosi per quanto già battuti, credo che l’interesse vero sia vedere queste persone reagire ciascuna a proprio modo messe di fronte all’evidenza fisica, materiale e innegabile di cosa significhi fare scelte, intessere rapporti, perdere occasioni, lasciarsi mangiare dai propri demoni e, in sostanza, essere costretti a vivere con la propria persona.
Una volta scoperto che in un altro universo noi siamo più felici, più realizzati, più amati, magari migliori di quanto potremo mai essere nel nostro, cosa faremmo avendo l’opportunità di andarci?
E cosa diremmo al nostro se stesso? “Ciao, facciamo cambio?”.
Sempre che si sia sicuri di conoscere così bene se stessi da sapere come reagiremmo in un altro contesto dovendo fare i conti, letteralmente, con noi stessi.
Il film apre più domande di quante ne chiuda, forse ne apre fin troppe e lascia un po’ quella sensazione da “Vorrei farci tanto una serie tivu”, ed è probabile che analizzato a fondo con flowchart, infographic e pali in culo risulti meno solido di quanto non sia dal punto di vista della trama.
Però credo che ad analizzare con logica ferrea un film la cui spiegazione scientifica è “È colpa della cometa” sia più un errore degli eventuali analisti che degli autori.
Prossimo contendente: Under The Skin, su questo blog mercoledì in giornata.