venerdì 8 marzo 2013

L’imbarazzo (più o meno) e l’accidentalità (incerta) di essere guariti (per ora).


Questo post non ha senso e non è divertente. Fate voi.

Tra le varie sensazioni, emozioni, percezioni che ho dovuto affrontare a causa di cancro e trapianto, ce n’è una che mi è montata dentro nel tempo. Sono più di quattro anni che mi hanno trapiantato. Più di sei dalla prima diagnosi di cancro. Magari ho passato del tempo a far finta di non sentirle. Però ultimamente sobbolle spesso. Non mi viene in mente un termine preciso con cui definirla. E’ un misto di imbarazzo, senso di colpa e profonda tristezza. Forse afflizione.

Questa sensazione si presenta soprattutto quando ho a che fare con chi ha perso qualcuno a causa del cancro. O magari ha una prognosi brutta. Non credo sia un caso se scrivo questo post qualche giorno dopo un funerale.

Per una serie di casualità, mi capitano questi incontri più spesso di quanto vorrei.  Quando arriva il momento delle condoglianze e mormoro le parole “Mi dispiace”, mi accorgo che il dispiacere che sento non è solo per la perdita che il mio interlocutore ha subito. In testa la frase completa suona più o meno “Mi dispiace per la tua perdita, mentre io sono ancora vivo. Scusa. Non l'ho fatto apposta.”

In maniera logica e obiettiva mi rendo conto che non ho avuto alcun ruolo nella morte degli altri. Ma non ho avuto nemmeno un ruolo determinante nel mio essere ancora qua. Temo però che per diverse persone trovarsi davanti uno che non è più malato, magari a ridosso del proprio lutto, sia comunque difficile. Un po’ come chi vede un figlio tornare dalla guerra e abbracciare i genitori, mentre il proprio lo si può solo piangere sopra una bara. Mi sembra di sottolineare, con la mia presenza, l’assenza e la perdita altrui.

Dubito sinceramente possano addossare colpe a chi sopravvive. Magari è solo rabbia che cerca un punto su cui sfogarsi, più che comprensibile e umana. O sentire di essere finiti dalla parte sbagliata della bilancia, senza alcun motivo o ragione.

La completa mancanza di senso, logica e motivi validi per cui alcuni muoiono e alcuni sopravvivono, mi lascia sempre più un senso di imbarazzo. Fare le condoglianze a un genitore è sempre straziante. Farle con la consapevolezza di essere ancora qua solo per una questione di fortuna toglie qualsiasi maschera, interpretazione e finalità dalla realtà. Mi sento del tutto inadeguato alla situazione e mi ritrovo a rimuginarci sopra per giorni, chiedendomi se non sarebbe meglio che a certi funerali non mi ci presentassi proprio. 

Sono sensazioni e conseguenti labirinti di pensiero che con la logica hanno ben poco a che vedere. 

Questo perché sopravvivere a un trauma è spesso dovuto a una enorme componente casuale. Se io sono riuscito a farcela, è perché tutta una serie di eventi al di fuori della mia portata si sono incastrati nella maniera corretta.

Il chemioterapico che ho assunto per alcuni mesi è stato approvato poche settimane prima del ritorno del mio cancro. Su alcuni pazienti non ha funzionato, su altri come me si. Il mio stato di salute mi ha reso eleggibile per essere inserito nelle liste d’attesa, fatto del tutto non scontato. Qualcuno è morto nel periodo giusto, alla distanza giusta dal mio centro trapianti. Il suo fegato si è scoperto compatibile col mio corpo, tra tutti quelli che erano nella lista nello stesso momento.  

Ho avuto culo. Fino a oggi. Altri non lo hanno avuto.

Non c’è un motivo preciso per cui sia andata così. Non c’è mai un motivo preciso. Una ragione corretta al 100%. Un senso compiuto. Una conclusione che soddisfi del tutto.

Non ce l’ha nemmeno questo post.