venerdì 20 dicembre 2013

Jerry Seinfeld, Louis CK, Chris Rock e Ricky Gervais stanno seduti su un cazzo...

“Ci piace perché lo abbiamo visto fare il tip-tap in mezzo a sei laser senza sfiorarne nemmeno uno.” 

Lo dice Jerry Seinfeld a proposito di una battuta di Louis CK. Tema: lo stupro. Svolgimento: vi basta guardare Talking Funny, uno speciale di 50 minuti in cui quattro comici parlano di comicità, facendo battute, riflettendoci sopra e confrontandosi tra loro.


I summenzionati Seinfeld e CK sono in compagnia di Chris Rock e Ricky Gervais, produttore dello speciale e moderatore dell’incontro. Una chiacchierata molto informale e portata avanti con tono leggero ma con la serietà e argomentazione tipica di chi parla della propria ossessione divenuta lavoro. 

Gervais “Non voglio essere giudicato.”
Rock “Sei nella gilda sbagliata, allora.”
Seinfeld “Sul palco vieni giudicato ogni 12 secondi.”

Uno dei punti di forza dello speciale è avere messo insieme quattro comici dallo stile e dalla personalità molto diversi. Ogni volta che si tocca un aspetto particolare dell’essere comici questo viene svolto da ciascuno secondo la sua personale attitudine, dando allo spettatore modo di osservare lo stesso problema da punti di vista diversi se non diametralmente opposti che hanno però il fine comune di fare ridere. Questo è evidente quando Seinfeld racconta una battuta di CK, un paio di minuti che dimostrano come un testo possa causare effetti diversi a seconda di chi lo interpreta. Motivo per cui non ve lo posso raccontare scrivendolo qua ma dovete ascoltarlo perché sono proprio i modi, le inflessioni vocali e i tempi a essere fondamentali e l’unica è che voi guardiate e ascoltate per capire. Come dice CK dopo aver ascoltato la battuta per bocca di Seinfeld “È ancora divertente, ma l’hai completamente Seinfeldata!”.

E poi è CK a fare il verso a Seinfeld, usando però parte di un pezzo di Rock. Un bel gioco di rimpallo tra talenti che studiano la propria materia da anni e mostrano un rispetto e una curiosità reciproci che trovo invidiabili, sempre spinti a trovare qualcosa di divertente e possibilmente vero in ogni aspetto della vita.

“Fare ridere è il fine ultimo a se stesso.” Seinfeld

La battuta sullo stupro la usano come esempio di come si possa toccare ogni argomento, sottolineando come per un comico il punto non sia tanto se è lecito fare una battuta su un certo argomento ma se si è in grado di farlo senza scivolare dalla parte sbagliata della risata. Un problema di cui sentono la responsabilità portandoli a ragionarci sopra usando esempi e controesempi di come sia un terreno minato in cui il comico decide coscientemente di avventurarsi.


“Penso che un aspetto grandioso della comicità sia che puoi prendere le persone e portarle in zone che mettono loro paura e farle ridere a proposito di certi argomenti. Puoi aiutarle.” CK

Il tutto supportato dalla tecnica di chi passa la vita sui palchi girando di città in città piuttosto che in uno studio televisivo e deve imparare osservando quelli prima di lui e provando di sera in sera a rendere migliore il proprio repertorio dal vivo. Dalla difficoltà nel trovare il giusto ritmo nel proprio spettacolo, a quello di decidere con quale pezzo aprire fino alla scelta di essere più o meno sboccati.

Seinfeld “Ho usato fuck solo una volta in tutta la mia carriera.”

CK “Uso il termine merda spesso ma cerco di inserirla qua e là nello spettacolo. Non voglio che ci sia un unico grosso pezzo di merda tutto insieme.”


O quella di trovare la parola giusta che funzioni al meglio per rendere il senso, il ritmo e l’atmosfera della battuta che hanno in mente.

Tutte decisioni che determinano la differenza profonda che c’è tra questi comici, sia in quello che decidono di raccontare ma anche in quello che trovano comico e divertente. Perché se ognuno di loro tenta di parlare di cose che reputano importanti, sono i primi a trovare divertenti battute senza senso e ridicole, come quella a cui mi riferisco nel titolo del post. E che, di nuovo, vi tocca vedere e ascoltare per poterla apprezzare. Soprattutto perché i quattro ci ricamano sopra per qualche minuto, ed è interessante vedere come ognuno reagisca alla battuta e cosa ne pensi.

Per quanto mi riguarda l’ho visto una dozzina di volte e ci trovo sempre spunti interessanti sui cui rimuginare quando mi pongo questioni sul riuscire a scrivere robe divertenti. 

“Ci sono pezzi che ho tirato su per tecnica e istinto ma in cui non credo, per cui li tolgo dallo spettacolo. Perché mi rendo conto che funzionano perché so come si fa stand-up, non perché è qualcosa che considero importante.” CK


E poi, ripeto, è molto divertente. Trovate lo speciale su Youtube, qua sotto. 

lunedì 2 dicembre 2013

Un requiem per il romanzo giallo

"...a dire il vero io non ho mai avuto una grande stima per i romanzi polizieschi, e mi rincresce che anche lei se ne occupi. Tempo sciupato. Ciò che lei ha raccontato ieri nella sua conferenza non era affatto male, anzi; da quando gli uomini politici deludono in misura tanto grave - e io ne so qualcosa, sono un uomo politico anch’io, consigliere nazionale, come forse saprà (non lo sapevo affatto, sentivo la sua voce come venisse da lontano, trincerato dietro la mia stanchezza, ma attento come una bestia nella tana) - la gente spera che almeno la polizia sappia mettere ordine nel mondo, benché io non possa immaginare nessuna speranza più pidocchiosa di questa. Ma purtroppo in tutte queste storie poliziesche ci si infila sempre anche un’altra ciurmeria. Non mi riferisco solo alla circostanza che tutti i vostri criminali trovano la punizione che si meritano. Perché questa bella favola è senza dubbio moralmente necessaria. Appartiene alle menzogne ormai consacrate, come pure il pio detto che il delitto non paga - mentre basta semplicemente considerare la società umana per capire dove stia la verità a questo proposito -, ma lasciamo correre tutto questo, se non altro per un principio puramente commerciale, dato che ogni pubblico e ogni contribuente ha diritto ai suoi eroi e al suo happy ending, e tanto noi della polizia quanto voi scrittori di mestiere siamo tenuti a fornirlo nella stessa maniera. No, quel che mi irrita di più nei vostri romanzi è l’intreccio. Qui l’inganno diventa troppo grosso e spudorato. Voi costruite le vostre trame con logica; tutto accade come in una partita a scacchi, qui il delinquente, là la vittima, qui il complice, e laggiù il profittatore; basta che il detective conosca le regole e giochi la partita, ed ecco acciuffato il criminale, aiutata la vittoria della giustizia. Questa finzione mi manda in bestia. Con la logica ci si accosta soltanto parzialmente alla verità."

La promessa - Un requiem per il romanzo giallo - Friedrich Durrenmatt - 1958

lunedì 7 ottobre 2013

Sono in mostra alla Biblioteca Berio insieme a un sacco di bravi autori

Sabato s'è aperta la mostra di racconti brevi intitolata Storie Brevi D'amore presso la Biblioteca Berio di Genova. 

"Ma c'eri anche tu?"

Si!

"Oh, potevi avvisare che ti si veniva a salutare!"

Eh, sono timido, scusate.

"No, sei stronzo! È diverso!"

Vabbè, semantica a parte, trovate i racconti appesi nella galleria di passaggio all'interno del cortile della Biblioteca. Sono racconti molto diversi tra loro per stile e atmosfera, come diversi sono gli autori che li hanno scritti. Il tutto nasce dal corso di StudioStorie tenuto da Sergio dedicato alla narrativa. Bell'esperienza che come sempre mi ha fatto conoscere persone interessanti e trucchetti nuovi.

I racconti rimangono in mostra fino al 19 di ottobre, e ovviamente è gratuita.

Qui sotto vi metto i nomi degli altri autori brevi:

Andrea Grenci, Luca Caridà, Valeria delle Cave, Elena Gargano, Filippo Ghiglione, Francesca Castagnola, Francesca Talloru, Gianmarco Perrone, Giorgia Bruzzone, Giuliana Erli, Giuseppina Picetti, Laura Magda Sparacello, Oriana Gullone, Paola Cassano, Paola Ceri, Silvia Ierardi.


venerdì 4 ottobre 2013

Centomila capelli che urlano ed esser lisci come il culo dei bambini

Cinque anni fa ero sotto chemio. Non ricordo di preciso quanti mesi di chemio ho fatto. Mi stupisce sempre come certi ricordi siano molto incasinati, mentre altri siano perfettamente stagliati sullo sfondo del mio passato come le ombre dei morti sui muri di Hiroshima. Tipo: ricordo perfettamente il rumore che fece il mio fegato quando l’ago della biopsia lo forò. Però, spesso, mi confondo sulla data in cui feci il trapianto di fegato. Era il 6 ottobre 2008. A volte mi viene da dire 10 ottobre o 12 ottobre, e non ho idea del perché.

Comunque, mentre ero in attesa di un fegato compatibile, feci la chemio. Niente sacche endovenose ma compresse da prendere per bocca. Il farmaco si chiama Nexavar. Per darvi un’idea di quanti e quali effetti collaterali e controindicazioni abbia, vi dico solo che il bugiardino è un piccolo libretto, brossurato. Tra i vari effetti collaterali, a stupirmi di più è stato quello bene o male quasi sempre associato con la chemio: perdita dei capelli.

Dico stupito non perché non mi aspettassi la caduta, anticipatami dai miei dottori, ma perché non sapevo due cose:

A) I capelli, prima di cadere, fanno un male cane.

B) Se perdi capelli, sopracciglia e tutti i peli del corpo, non ti riconosci più.

Il primo punto l’ho scoperto qualche settimana dopo l’inizio della chemio. È cominciato come un forte prurito alla testa, come se avessi avuto una reazione a uno shampoo troppo forte. Ma dopo qualche tempo è diventato vero e proprio dolore. Non so se, in caso portiate i capelli lunghi, abbiate mai tenuto i capelli legati troppo stretti e troppo a lungo: quando li si scioglie c’è un attimo in cui le radici fanno male. Sembra un po’ quella sensazione di un muscolo intorpidito che inizia a formicolare. Ecco, tipo quella, ma molto più forte e ventiquattrore su ventiquattro. Poggiare la testa sul cuscino era un patimento, tanto che mi sono dovuto fare dare una lozione a base di cortisone e non so cos’altro per sedare un po’ il fastidio.

Un fastidio strano che mi dava un dolore diffuso su tutto il cuoio capelluto. Però allo stesso tempo sentivo le singole radici pulsare ogni volta che muovevo i capelli o poggiavo la testa. Possibile si sia trattato solo di immaginazione, ma ogni tanto era come avere migliaia di fili a basso voltaggio che punzecchiavano la testa, a cui seguiva un unica pulsazione come se la pelle cercasse di staccarsi dal cranio. Il fatto che li portassi molto lunghi non aiutava. Vi risparmio i dettagli su come, alle 4 di una notte insonne, li tagliai usando forbicine da unghie, sperando che avendoli più corti mi avrebbero dato meno fastidio. Speranza vana.

Dopo qualche tempo comunque smisero di fare male quasi del tutto e cominciarono a cadere. Cosa che sul momento sentii come un sollievo: meglio calvo o quasi che capellone e dolorante.

La caduta andò avanti in maniera piuttosto lenta e progressiva. Non mi capitò mai, mi pare, di vedere ciocche intere cadere o di alzarmi dal letto e trovarne a mazzi sul cuscino. Semplicemente cadevano di continuo, pochi alla volta. Infatti, anche se continuarono a cadere fino a un paio di mesi dopo il trapianto, davvero calvo non lo sono diventato.

In compenso, dalla fronte in giù, divenni glabro.

A cadere tutte e in poco tempo furono le sopracciglia e, queste si, caddero in maniera piuttosto rapida e a mazzi. Vabbè, mazzetti, date le dimensioni. Come caddero anche i peli del naso (!), la scarsa barba che mi contraddistingue e tutti i peli del corpo nel giro di qualche mese.

Immagino che per modelli e pornodivi guardarsi allo specchio e vedersi lisci e aerodinamici, come supposte con la faccia, sia la norma. Io invece ricordo che una volta sono uscito dalla doccia e guardandomi allo specchio ho pensato più o meno: “Chi cazzo sono?”.

I capelli erano cortissimi, tagliati a cazzo di cane e ormai pochi. Le sopracciglia del tutto andate, praticamente zero peli su tutto il corpo. Più un colorito e un dimagrimento da chemio che non mi rendeva esattamente un dio greco uscito dalle acque. È stato uno di quei momenti in cui ho intuito per qualche secondo cosa significa essere sul punto di perdere la propria identità fisica.

Sapete quelle scene da film in cui il nostro protagonista si trova nel corpo di un altro? Oppure ringiovanito/invecchiato di colpo? Ecco, per un attimo lungo come baratro, per me è stato un po’ così: passare dall’essere il mio solito me stesso magari un po’ acciaccato, all’essere l’ombra di me stesso o direttamente un’altra persona.

Quel volto giallognolo, con le occhiaie da quadro di Munch, senza sopracciglia, con le labbra spaccate dall’arsura da chemio che mi guardava dallo specchio era molto confuso, molto stupito e un po’ impaurito.

Sono passati cinque anni e di nuovo, se mi guardo allo specchio, sono ri-cambiato. Non c’è più quel volto emaciato a guardarmi, non c’è neppure il volto di quando avevo 20 anni ed ero in salute, nemmeno quello di un paio di anni fa quando ho cominciato in maniera più o meno cosciente e programmatica a rimettermi in piedi, nel fisico e nello spirito, con successo altalenante. Forse ci sono tutti, mischiati in varie gradazioni. O forse ogni tanto si scambiano di posto, con quello emaciato che non vuole farsi dimenticare, non lo so.

Da un annetto mi sto facendo ricrescere i capelli. Non che basti questo a chiudere col passato e guardare solo avanti. Magari è solo vanità. Magari è che mi mancano i miei vent’anni. Magari mi rode ancora averli dovuti tagliare solo perché mi facevano male. Magari fra un po’ me li taglierò, ma perché lo deciderò io. Oppure no. 

P.S.


“Si sta come i capelli, sulle teste, in oncologia.” Io, non ricordo quando, rispondendo a qualcuno in ospedale che mi chiedeva come andava. Non suscitai molte risate.

venerdì 13 settembre 2013

Ho intervistato Enrico Macchiavello e ne ho le prove


 Ho avuto l'opportunità di intervistare Enrico Macchiavello, che se avete mai visto una pubblicità della Ceres animata o conoscete gli Skifidol sapete benissimo chi sia. Ma conoscete solo una piccola parte della sua esperienza molto vasta, eterogenea e divertente che merita d'essere esplorata.

Potete tappare i buchi della vostra ignoranza andando a Rapallo per vedere la mostra che quest'anno Rapalloonia gli dedica, o mettere le mani sul catalogo intitolato Macchiavellico curato da Carlo Chendi. Nel catalogo, dietro cui nascondo il mio mento nella foto qua sopra, trovate l'intervista fatta dal sottoscritto. Ho cercato di toccare vari aspetti della sua opera e della sua immaginazione, tipo le bellissime scatole per guardoni del suo progetto Peepshow. Caso mai la leggeste fatemi sapere se sono riuscito a incuriosirvi. 

Qua sotto un paio di prove fotografiche del dialogo avvenuto. Si le foto fan cagare ma ci ho la manina tremula.




mercoledì 28 agosto 2013

Zen pencils, come prendere una citazione e renderla più avvincente

Gavin Aung Than prende delle citazioni più o meno famose e ci fa sopra un fumetto. Che può sembrare solo un esercizio sterile, ma in realtà il risultato è quasi sempre molto interessante. Perché Than non si limita a illustrare quanto detto nella citazione ma riesce sempre a dare una sua interpretazione che, secondo me, aggiunge o comunque rende più efficace il messaggio. Le trovate sul suo sito Zen pencils.

Ad esempio nel momento in cui scrivo l’ultimo aggiornamento è basato su una citazione di Bill Watterson, lo trovate qua. In questo caso se conoscete Calvin & Hobbes vi balza agli occhi come la striscia sia anche un omaggio a quei personaggi e a quell’autore.

Ma ci sono casi in cui Than riesce a costruire una piccola storia, come ad esempio 

- On Kindness di Roger Ebert
- There are no limits di Bruce Lee

e altre in cui nascono personaggi che poi tornano in citazioni successive, come la mia personale beniamina Rising Phoenix, lottatrice di wrestling che appare in 

- Ask Yourself di Howard Thurman
- Life is not easy di Marie Curie

oppure il ragazzino vittima dei bulli in

Invictus di William Ernst Henley
- If di Rdyard Kipling
- O Me! O Life! di Walt Whitman

giusto per darvi qualche spunto da cui partire e fermarmi prima di linkarvele tutte.


Insomma mi pare un progetto ben ragionato e in cui Than metta molta cura, tutt’altro che un mero esercizio di stile. Oltre al sito lo trovate pure su tumblr qua

venerdì 23 agosto 2013

Darren Young é gay, o forse no.

Darren Young

Darren Young é gay. Anzi, Frederick Douglas Rosser è gay. Darren Young è il nome che Frederick usa per interpretare il suo ruolo nel ring della WWE, la più grande promozione americana di wrestling professionale. Come ha detto lui nell'intervista in cui a sorpresa ha fatto coming out "Does this affect the way you think about me?" "Questo ti cambia il modo in cui pensi di me?". Più che ai fan dovrebbe chiederlo ai suoi capi. Perché se la sua vita privata sono fatti suoi, nel wrestling privato-e-pubblico e realtà-e-finzione sono molto più sfumati che in altri campi dell’intrattenimento.
 
Darren con il suo socio Titus O'Neil, i Prime Time Players
La sua dichiarazione lo rende il primo* wrestler della WWE a dichiararsi gay mentre è ancora sotto contratto e in attività nel ring. L'uscita (scusate il gioco di parole) di Darren non è una cosa da poco se si conosce un po' la storia del wrestling americano e della WWE in particolare. Perché nonostante molti colleghi e soprattutto i capi della promozione si siano detto orgogliosi di Darren una volta ricevuta la notizia, non si può tralasciare il contesto in cui lavora e vive buona parte della sua vita. Un ambiente che è interessato ai ratings prima di tutto e che vede nella polemica e nella controversia  di temi e situazioni un modo per ottenerli.

Billy & Chuck

Tra il 2002 e il 2003 il tag-team composto da Billy Gunn e Chuck Palumbo dichiarò di essere non solo una coppia sul ring ma anche nella vita. Il duo portò avanti la cosa per qualche mese giocando sul filo dell'ambiguità fino a quando Chuck chiese la mano di Billy. Il matrimonio, come da tradizione nel wrestling, si tenne in diretta tv sul ring. Peccato che poco prima del fatidico si Chuck e Billy fecero marcia indietro, dichiarando di essere etero, di essere sempre stati etero e di aver fatto tutto questo per l'unico motivo che conta: acchiappare telespettatori, rendersi riconoscibili e avere un seguito. Non è un caso che nel periodo precedente il non-matrimonio vinsero le cinture di campioni.

Billy & Chuck quasi sposi.

Chuck Palumbo e Billy Gunn (veri nomi Charles Palumbo e Monty Kipp Sopp) non sono, per quanto se ne sappia, gay. La loro è stata fin dall'inizio una delle mille storie vinte messe in piedi nel fumoso mondo del wrestling. Il tutto venne gestito così male che la GLAAD (Gay & Lesbian Aliance Against Defamation), consultata dalla WWE a proposito di come giostrare la storia, si infuriò dichiarando di essere stati gabbati e rassicurati che il matrimonio avrebbe avuto luogo sul ring, mostrando finalmente due personaggi dichiaratamente gay al pubblico.

In questo caso si trattava di due atleti eterosessuali che interpretavano due personaggi, forse, omossessuali. Ci sono però situazioni in cui la realtà viene cannibalizzata dalla WWE senza troppi scrupoli. Vi porto un esempio recente. Non c'entra con l'omosessualità ma lo trovo ottimo per indicare l'approccio quasi senza freni della WWE nelle situazioni spinose.

Paul Bearer e Undertaker

Paul Bearer è stato per anni il manager e la figura più o meno paterna di Undertaker. Per farvi capire, Bearer era un po' come Alfred per Batman o Obi-Wan Kenobi per Luke. Poi d'accordo, Bearer ha tradito qualche volta Undertaker tentando anche di mandarlo letteralmente all'inferno, e almeno una volta è stato seppellito vivo nel cemento da Undertaker. Portava sempre con se un'urna cineraria da cui Undertaker, un po' becchino un po' non morto un po' sacerdote del male, riceveva parte dei suoi poteri. Fatto sta che quest'anno Paul Bearer è morto. Ma è morto sul serio, dato che è scomparso William Moody, l'uomo che lo ha impersonato per quasi 30 anni.

William Moody

La morte di Moody ha scosso molti professionisti del settore, in particolare Mark Calaway, l'uomo che interpreta Undertaker. I due erano amici al di fuori del ring e sono stati importanti uno per l'altro sia professionalmente che umanamente.

La WWE ha deciso di inserire la morte di Moody nelle sue storie. Undertaker quindi ha reso omaggio a Paul Bearer-William Moody sul ring. Si è inginocchiato di fronte all'urna cineraria in cui questa volta si trovavano le ceneri di Paul. Un omaggio all'interno della storia sia al personaggio che all'uomo che lo ha interpretato. Però la cerimonia è stata interrotta dall'arrivo di CM Punk, che ha assalito Undertaker e rubato l'urna.

Undertaker omaggia le ceneri di Paul Bearer

Nei giorni successivi Punk ha giocherellato con l'urna come fosse un pallone da football, dichiarando il suo disprezzo per Bearer e Undertaker. Inoltre ha assalito di nuovo Undertaker, colpendolo con l'urna, aprendola e rovesciandone il contenuto addosso a lui e poi a se stesso, definitivo segno di disprezzo e noncuranza nei confronti di tutto e tutti.

CM Punk attacca Undertaker

Il tutto, poche settimane dopo la morte di William Moody. Una scelta che ha destato critiche, discussioni e curiosità dato il tema spinoso. E ha assicurato che molti fan, compreso il sottoscritto, rimanessero inchiodati allo schermo nell’attesa di vedere Undertaker rompere il culo a CM Punk, cosa poi avvenuta regolarmente sul ring.

Questo è uno degli aspetti fondamentali del wrestling che deve essere tenuto conto quando si parla delle vite di coloro che decidono di farne parte. Perché la vita privata è privata, ma in questo mondo le cose sfumano da dentro a fuori il ring e viceversa di continuo e a volte senza che il singolo atleta possa averne pieno controllo.

Ci sono altri esempi di come l’omossessualità sia stata toccata dalla WWE. Personaggi come l'ambiguo Goldust che, sul ring, ha molestato più di un atleta o le varie implicazioni di lesbismo di alcune atlete. Momenti però legati sempre alla realtà del ring, slegati dalla vita vera degli atleti. In un ambiente di questo tipo non stupisce che una persona non si senta  a suo agio nel dichiarare pubblicamente la sua sessualità. E' quello che ha dovuto affrontare Chris Kanyon durante la sua carriera.



Kanyon, vero nome Christopher Klucsarits, ha lavorato prima nella WCW ( World Championship Wrestling) e poi nella WWE. Kanyon era omosessuale e, secondo testimonianze degli amici più stretti, il suo timore era quello di perdere il lavoro a causa dell'omofobia non pubblica ma ben espressa dietro le quinte di molti suoi colleghi. Per capire la difficoltà cui devono fare fronte i wrestler, è necessario ricordare che questi performer vivono quasi tutto l'anno in viaggio da una città all'altra, a stretto contatto tra di loro, spesso condividendo lunghi viaggi in macchina e camere d'albergo. Lontani dalla famiglia e dagli amici, sono costretti a trovare il loro posto in un ambiente che mescola cameratismo e competizione, una situazione di stress per chiunque, a prescindere dalla propria personalità. Per Kanyon non deve essere stato facile convivere per mesi o anni con persone che magari non si facevano problemi a mostrare umorismo omofobo, o magari trovarsi in compagnia di 20enni con gli ormoni a mille a caccia di ragazze in giro per il paese.

Quando Kanyon chiese di poter interpretare un ruolo chiaramente gay venne ridicolizzato in maniera a dir poco crudele. Lo fecero travestire da Boy George e cantare “Do you really want to hurt me?” mentre usciva da un enorme pacco regalo per Undertaker. Questo lo attaccò, concludendo il pestaggio con colpi di sedia pieghevoli, in particolare un colpo alla testa. Cose di per se normali dato il contesto. Ma per una persona in difficoltà nel gestire la propria sessualità, si deve essere trattato di un episodio pesante.

Kanyon soffriva di disordine bipolare e depressione e, posso solo supporre, lavorare in un ambiente del genere deve aver peggiorati i suoi problemi e in parte aver contribuito al suo suicidio nel 2010.

Lo ripeto, la vita privata di una persona è solo affar suo. Ma nella WWE non esiste quasi cesura tra privato e pubblico. Ed è questo l'ambiente, di cui vi ho dato solo un'idea di massima, in cui Darren Young si muove da anni dovendo suo malgrado sottostare al volere dei capi.

E la direzione della WWE non si è fatta scappare l'occasione di marketing. Lo ha fatto per promuovere la sua campagna anti-bullismo chiamata Be a Star su cui puntano molto per dare un’immagine di azienda per tutta la famiglia e dai sani valori. Darren, in quanto di colore, gay dichiarato e con un passato di balbuzie sembra fin troppo perfetto per essere uno dei volti di una campagna indirizzata a tutti i ragazzini e le ragazzine che si sentono diversi durante gli anni di scuola. E infatti un paio di giorni dopo la dichiarazione ha partecipato a una delle varie conferenze che vengono tenute qua e la per il paese.

Darren Young schiena Antonio Cesaro

Inoltre nel suo primo incontro di tag-team successivo al coming out, non solo ha vinto, insieme al suo socio sul ring Titus O'Neil, ma è stato lui a schienare per il conto di tre l'avversario dopo aver dominato l'incontro.

I Prima Time Players dopo la vittoria.
 La WWE adora far vincere i suoi atleti che per un motivo o per l’altro sono vendibili al pubblico e alla stampa che di norma non segue il wrestling. Adora però anche dimenticarseli appena la loro fama extra-ring sfuma.


*Su questo c'è dibattito. Chris Kanyon, di cui parlo nel post, Justin Credible o Orlando Jordan sono due casi ben noti, ma la copertura mediatica ricevuta da Young lo rende il primo ad essere riconosciuto pubblicamente e supportato dalla stessa WWE.

Un paio di pezzi interessanti su omosessualità e wrestling che vi invito a leggere dato che approfondiscono alcuni punti:





giovedì 8 agosto 2013

Wrestling e grammatica inglese: CM Punk spiega gli errori più comuni.

CM Punk è un wrestler americano che ci tiene molto alla grammatica. 

In particolare quando insulta la gente

Tra un incontro e l'altro ha trovato il tempo di spiegare con calma, sangue freddo e accademica precisione alcuni degli errori più comuni commessi nella sua lingua.

Qua sotto trovate il video in cui rende chiarissima la differenza tra your e you're. Se ravanate tra i consigliati ne trovate altri.



martedì 23 luglio 2013

Super

Frank è un uomo mediocre che ha subito umiliazioni per tutta la sua vita. Le cose cambiano Quando sua moglie viene rapita dal piccolo boss della città. Convinto da una visione mistica che lo convince di essere stato scelto da Dio, si veste come un supereroe e comincia a picchiare con ferocia i piccoli criminali di zona, facendosi chiamare Crimson Bolt.


Pensavo che Super fosse una parodia o peggio una commedia con la puzza sotto il naso. Nonostante sia scritto e diretto da James Gunn, autore di Slither che ho trovato molto divertente e onesto, mi ero fatto gabbare dalla locandina in salsa Juno. Questo per dirvi che l'ho visto con un discreto pregiudizio, compreso quello verso Ellen Page
che per quanto apprezzi come capacità, mi sta sul cazzo a pelle. Il che forse è d'aiuto nel suo interpretare Boltie, l'aiutante di Crimson Bolt.


E invece Super mi è piaciuto molto. Oddio, piaciuto magari non è il temine corretto, dato che in vari passaggi mi ha trasmesso più che altro disagio e fastidio per come la violenza viene mostrata e vissuta dai personaggi. Si, ci sono momenti buffi, ma quando Crimson Bolt prende a colpi di chiave inglese i cattivi, la risata lascia quasi subito lo spazio al fastidio. Non so se si tratta di sensazioni che nascono come risposta ad anni di violenza estetizzata e laccata così vuota da non avere alcun peso emotivo, ma credo che Gunn abbia fatto un ottimo lavoro nel riportare il focus su un aspetto molto semplice: la violenza non dovrebbe sempre e solo fare ridere o essere figa.

E se all'inizio pare di essere di fronte a un film leggero, le cose si deteriorano mano a mano che Crimson Bolt fa esperienza e comincia a picchiare sempre più duro. Il gioco degli equilibri tra divertente e fastidioso riesce quasi sempre bene, e quasi sempre le cose pendono più dalla seconda parte.


In questo penso sia esemplare la scena dello stupro, che comincia come una seduzione da porno per poi colare nel territorio del torbido e del disturbante e finire letteralmente con conati di vomito e la testa nel cesso. E' fastidiosa e colpisce proprio per la messa in scena che è l'antitesi del sexy, del glamour e dell'hot a tutti i costi.

Credo che questo tipo di scelte funzioni in parte grazie al tipo di personaggi che vengono raccontati. Crimson Bolt e la sua sidekick Boltie non sono due fighi. Non sono nemmeno due sfigati che diventano fighi una volta che si mettono i costumi e combattono il crimine. Sono due derelitti che una volta indossato il costume continuano ad essere dissociati dalla realtà, senza arte ne parte, ma sfogano anni di frustrazione su criminali. Che se è vero che in alcuni casi sono davvero criminali colpevoli di reati pesanti, almeno in due casi sono solo stronzi maleducati che si ritrovano dalla parte sbagliata di una chiave inglese. E la gioia e la soddisfazione che prova il dinamico duo nel picchiarli vira nel maniacale più che nel senso di giustizia.


Sul finale pare ci sia un minimo di speranza per Crimson Bolt, ma il succo del discorso sembra più essere quello di accontentarsi del poco di buono che può capitare in un mare di umiliazioni e sofferenza. E' poco accomodante, più amaro di quanto l'inizio potrebbe far pensare, grazie anche allo staccarsi da un finale assolutorio e già visto.


Come dicevo, dire che mi sia piaciuto forse non è il termine più corretto, ma di sicuro mi ha colpito più di tanti supereroi che oltre alla tutina non hanno nulla.  

giovedì 18 luglio 2013

Bernie non farebbe mai una cosa del genere.


Bernie è così amato dai suoi concittadini che quando confessa un omicidio nessuno gli crede. La cittadinanza è così compatta che il procuratore distrettuale è costretto a spostare il processo in un'altra contea per paura che lo decretino non colpevole

Ed è una storia vera.



Attualmente Bernie risiede in un carcere Texano dove sconta la pena per l'omicidio della sua amica e capa Marge. Bernie la uccise con alcuni colpi di fucile e ne tenne nascosta la morte per alcuni mesi, macerato dal senso di colpa e dalla paura di dover confessare un delitto del genere. Il corpo venne ritrovato solo quando l'avvocato della vittima si impuntò per vederla di persona per poter discutere di questioni d'affari. La famiglia di lei non si fece quasi mai viva e il resto della cittadinanza non si pose il problema di che fine avesse fatto. Perché l'amato Bernie rassicurava tutti che Marge stava bene, e dato che era antipatica a tutti non facevano troppe domande. E tutti rimasero tanto stupiti quanto increduli una volta che venne ritrovata in un congelatore a pozzetto.



Linklater nel dirigere la pellicola ha scelto un approccio a mezza strada tra il film vero e proprio e il documentario. Così noi veniamo a conoscere buona parte della storia e della caratterizzazione dei personaggi attraverso finte interviste con i concittadini di vittima e carnefice. Ma alcune di queste finte interviste sono fatte a veri concittadini che ricordano quanto fosse accaduto e del perché sono convinti che Bernie non sia colpevole.



Il fatto è che Bernie è una persona gentile. Non è un sociopatico, non sente le voci, non è un serial killer e soprattutto non è un violento. E' una persona normale che si prodiga in tutti i modi per poter aiutare il prossimo: aiuta i ragazzi della scuola facendo il direttore dei loro musical (e ogni tanto canta con loro, graziato da una grande voce), aiuta gli amici a compilare i moduli delle tasse e a fargli risparmiare i soldi, ha una fede sincera e aiuta la sua chiesa. Soprattutto prende sul serio il suo lavoro alle pompe funebri. Non solo è bravissimo a capire quando spingere i parenti a spendere qualche dollaro in più, ma è sincero nel suo controllare che le vedove reggano bene il lutto. Ha infatti l'abitudine di confortare le sue clienti nel periodo successivo al funerale del defunto, e senza malizia. E' così che conosce Marge, la vedova più ricca e più antipatica del paese. La sorella non le parla da 30 anni e i figli e i nipoti hanno rapporti con lei solo via avvocato.

Tra Bernie e Marge nasce un'amicizia che nel tempo si attorciglia in un rapporto prima di lavoro, quando lei lo assume come tuttofare, e poi si strangola in una situazione di soffocante dipendenza. Bernie si abitua troppo bene alla vita agiata che lei gli permette, e Muriel trova in lui un dipendente da angariare con richieste di ogni tipo. Fino a che lui sbotta e la uccide, ma solo perché si trova sotto mano un fucile carico.



Non è un omicidio premeditato, è solo un attimo di rabbia che sfoga mesi e mesi di frustrazione. Bernie non lo confessa subito perché non sa come affrontare quello che potrebbero pensare gli altri, ed è terrorizzato dall'idea di finire in prigione.

Cosa che rischia di non accadere nemmeno quando lo beccano e confessa, proprio perché i suoi concittadini pensano quasi tutti una cosa: che lui sia innocente. Anzi, che sia vittima di una congiura da parte di figli e nipoti di Marge per poter agguantare l'eredita. Lui confessa, ma nessuno se la beve.



Così il procuratore distrettuale decide di spostare il processo. Di norma è una procedura che si fa quando l'accusato rischia di trovarsi una giuria pregiudizievole e ostile. Questo pare sia il primo caso in cui capiti il contrario: il procuratore teme che lo assolvano perché sono già convinti che non possa essere stato lui. E il procuratore è incredulo di questa sorta di allucinazione di massa che non riesce a spiegarsi.

E l'atmosfera del film è proprio così, un po' incredula di quanto accade e viene raccontato. Nonostante l'omicidio venga mostrato, nonostante lo spettatore sappia che Bernie ha ucciso, sa anche che è una persona buona. Così tanto che, forse per senso di colpa o altro, nei messi successivi all'omicidio e precedenti la confessione, usa molti dei soldi di Marge per aiutare la sua comunità. E' vero che non confessa e che fa di tutto per tenere la cosa nascosta, ma non fugge, non tenta di fare sparire il corpo (lo infila nel congelatore subito dopo l'omicidio e poi non riesce più a toccarlo per l'orrore che prova) e appena lo beccano confessa tutto dall'inizio alla fine.



Questo clima un po' incredibile si regge in parte sullo stile molto piano e quasi didascalico di Linklater che cozza in un certo senso con una storia un po' grottesca. Tutto viene raccontato come se non ci fosse poi niente di strano in quanto accaduto, sempre ammesso che Bernie abbia davvero ucciso Marge. E l'altro punto di forza sono le interpretazioni.

Jack Black, Shirley MacLaine e Matthew McConaughey sono rispettivamente Bernie, Marge e il viceprocuratore. E tutti e tre riescono a spingere quel tanto che basta per rendere i loro personaggi strani e un po' fuori dalle righe, ma senza mai arrivare a renderli poco credibili o parodistici. Hanno tutti modi di fare e soprattutto di essere che non sono facilmente incasellabili nella media, ma sono tutti realistici e poco credibili quanto la storia di cui sono stati protagonisti.


Mentirei se vi dicessi che il film mi ha convinto al 100%, perché ha momenti in cui per me rallenta troppo e sembra girare a vuoto, però l'ho visto da qualche mese e i suoi personaggi continuano a tornarmi in mente. Soprattutto quando per strada o nei bar incrocio o sento parlare persone che non sono facilmente incasellabili. E' un film un po' storto come certe persone.


venerdì 12 luglio 2013

In questo episodio davvero speciale di Clone High

Gandhi è un ragazzino iperattivo, dalla battuta sempre pronta, ossessionato dall’essere l’anima della festa e con la propensione a denudarsi troppo.
John Fitgerald Kennedy è un bulletto che inizia ogni anno scolastico con un solo obiettivo: trombare tutte le sue compagne. Chissà cosa ne pensano i suoi genitori adottivi, una coppia interraziale gay.
Giovanna D’Arco è in piena fase angst contro il mondo, e non aiuta il fatto che sia innamorata e non ricambiata da Abramo Lincoln.
A sinistra Abramo Lincoln, a destra Gandhi
Benvenuti a Clone High, un liceo in cui studiano cloni adolescenti di famosi personaggi storici. Creati da uno scienziato malvagio per richiesta di un gruppo di oscure figure del governo. Loro vorrebbero usarli per scopi politico-militari, a lui piacerebbe usarli per aprire un parco di divertimenti chiamato Cloney Island.
Dubito sia un piatto vegano
Clone High è un cartone animato del 2002-2003, cancellato alla prima stagione. Ed è un peccato perché i 13 episodi fanno scassare dal ridere. Perché al di là della premessa che trovo molto figa e in sapore di fantascienza, la serie è in realtà comica. Anzi, è una parodia del genere teen-drama che da Beverly Hills in poi pare non voler morire.

"Quindi spiegaci meglio la resistenza passiva"
Clone High dissacra buona parte dei cliché di quel tipo di serie. Molte hanno ad esempio almeno un episodio che in maniera più o meno dichiarata si dedica ad esempio alla droga. E Clone High ce l’ha, però si tratta del terribile flagello dell’uva sultanina da fumare, foriere non solo di dipendenza ma di viaggi allucinogeni che sfociano in scene da musical giusto un filo sopra le righe. E così via con vari episodi davvero speciali. 

Questa è Marie Curie. Ci ho messo un po' a capirla.
C’è quello sull’abuso d’alcool, l’immancabile elezione del presidente di classe (che con protagonisti JFK e Lincoln è per una volta davvero calzante), quello natalizio (che porta all’estremo l’idea di rendere le feste natalizie non-offensive per le religioni) e non può mancare l’apice di ogni anno scolastico: la sera del ballo. Gli ultimi due episodi sono dedicati al ballo (la cui location assurda è un colpo di classe) e soprattutto alla sua preparazione, con il classico montaggio in cui la tipa dimessa ma figa e il tipo nerd ma in realtà bellino vengono rimessi a nuovo da quelli che ne sanno. Ovviamente non va esattamente come al solito.

Ha in mano un martello.
Non si tratta di una serie dall’umorismo tenue, anzi. Ci sono un sacco di battute che pigiano sul cattivo gusto e sul disgusto, altre che sfociano nel surreal e nel non-sense e molte che possono essere capite se si conosce un po’ la biografia dei vari personaggi storici. Epperò penso valga la pena di guardarla perché l’attitudine dissacrante di fondo lo rende una visione molto interessante. Come dicevo l’hanno cancellata di colpo (pare che il popolo dell’India non abbia gradito la versione di Gandhi che si vede nel film. E si che tutto sommato è un personaggio positivo, oltre a essere uno dei migliori) per cui sappiate che se poi vi piace vi tocca tenervi il dubbio di come sarebbe andata avanti.

Su youtube si trova tutta, in inglese. 


martedì 2 luglio 2013

E un sacco di capelli ondulati come Liberace* - BEHIND THE CANDELABRA.

Liberace, l'originale
Behind the candelabra è un film affascinante, e a discapito del trailer e delle foto promozionali, è più sfaccettato e profondo di quanto sembri. Il che, forse, lo si poteva dire anche di Liberace, il protagonista della pellicola biografica diretta da Soderbergh, interpretato da Michael Douglas.


Immagino che molti leggendo Liberace abbiano pensato "E chi cazzo è?". E' stato uno degli entertainer più pagati di tutti i tempi, attore, cantante, presentatore di show televisivi ma soprattutto uno dei pianisti più famosi di sempre. Anzi, negli USA per parecchio Liberace era IL Pianista. Al di là del talento musicale, divenne larger than life e scelse in maniera conscia di vendere non solo le sue capacità ma se stesso come più come personaggio che come persona. Costumi sempre più eccessivi, numeri che mischiavano la musica allo show in stile las vegas, una vita vissuta all'eccesso, con spese folli, case arredate in maniera barocca ed esagerata e, alla base di tutto questo, una sessualità mai dichiarata e sempre nascosta per quanto evidente e vissuta senza vergogna ne senso di colpa.

Ed è quest'ultimo uno degli aspetti che viene affrontato nel film in maniera, pare a me si chiaro, efficace e interessante. Perché se altri autori avrebbero potuto benissimo fare un film sull'omosessualità come tema portante, Sodebergh tratta la cosa come una questione di fatto. Ci sono una persona di mezza età famosissima e dalla personalità magnetica e una persona molto giovane che si innamorano e il cui rapporto è molto molto incasinato. E la storia di come questi due si innamorino e portino avanti un rapporto che passa dall'essere molto affettuoso e di amore reciproco fino a scivolare in risentimento e dolore, mi pare sia universale al di là del genere sessuale.

Liberace, Michael Douglas

Nel film viene toccato il fatto che Liberace non dichiarò mai la sua omosessualità in vita e anzi fece causa, e vinse, contro un paio di riviste scandalistiche che lo accusarono di esserlo. E Liberace racconta al suo amante Scott di come riuscì far convivere la sua sessualità e la sua forte fede cattolica grazie a una visione mistica durante una grave malattia. Aneddoti che vengono riportati come parte di un tutto più grande e complesso.

Gorgeous George, wrestler
Mi pare insomma che nel film l'omosessualità sia data per assodata (e per nulla giudicata in senso positivo o negativo dagli autori) e che, per una volta, ci si concentri più sugli altri aspetti di questo rapporto.

Rapporto in cui l'estetica, o forse meglio il look, ha un peso fondamentale. Liberace decide in maniera molto conscia e pragmatica di creare se stesso per poter avere successo nei concerti dal vivo e in televisione. Come moltissimi personaggi dello spettacolo, è ossessionato dall'idea di invecchiare, di morire e di essere dimenticato. Quindi la chirurgia estetica, quindi i parrucchini (grande scena quando Scott scopre, solo dopo settimane di sesso, che Liberace è proprietario di uno skullet), quindi un impianto al pene per poter soddisfare il suo desiderio sessuale. Quindi la ricerca di amanti giovani e vitali. Uno di questi si chiama Scott Torton, con cui intesse una lunghissima storia, interpretato da Matt Damon.

Ric Flaier, wrestler
Niente di strano per la media delle star dell'intrattenimento. Però il tutto prende un'altra piega grazie a due momenti che sfociano nel disturbante. Dopo aver fatto sesso, Liberace confessa a Scott il suo desiderio di adottarlo. Tecnica in uso quando il matrimonio tra omosessuali non era possibile e si cercava in qualche modo di poter tutelare il proprio amato. E' però la scelta dei termini di Liberace a colpire "Voglio essere tuo amante, amico, confidente e padre". Un sentimento più vicino al desiderio di controllo e possesso che di amore e amicizia.

Sting, wrestler
Che viene sottolineato da una richiesta di Liberace: vuole che Scott si sottoponga a un'operazione di chirurgia estetica, non tanto per ringiovanirlo dato che è già giovane, ma per renderlo più simile a Liberace stesso. Magari ci leggo troppo, ma l'idea di un uomo che desidera fare sesso con una versione più giovane di se la trovo molto potente e perfetta per definire in pochi secondi tutta la personalità strabordante e bulimica di Liberace. Ma anche quella di Scott che, pure se in maniera poco convinta, accetta. Per trovarsi però anni dopo a urlare "Si è rubato anche la mia fottuta faccia!", quando le cose tra i due sono ormai risolvibili solo per vie legali.

Mohammed Alì, pugile
Tutto materiale ad alto rischio di ridicolo involontario. Però credo che Sodebergh riesca sempre a mantenersi un passo o due al di qua di questo pericolo, riuscendo semmai a far passare un'idea di quanto possa essere grottesca una vita vissuta nell'ossessione di un'ideale di bellezza inarrivabile a cui si tenta comunque in ogni modo di avvicinarsi. E in questo mi pare aiuti molto la scelta di rendere davvero ridicolo per quanto un filo inquietante solo uno dei personaggi secondari, il chirurgo estetico di Liberace, che lavorerà (e renderà dipendente da anfetamine) Scott, interpretato da Rob Lowe. Un uomo così tirato da non aver praticamente alcuna espressione ed essere ridotto a una maschera senza vita. Dotato comunque di un senso pratico e imprenditoriale eccellente. Dopo aver liftato Liberace, il pianista si rende conto di non riuscire più a chiudere del tutto gli occhi. Il buon chirurgo gli risponde "Tranquillo, così potrai vedere le espressioni di meraviglia di chi ti vedrà così meraviglioso". Che sarebbe ridicolo se non fosse una tragica costante della realtà del mondo dello spettacolo.

Goldust, wrestler
E a proposito di personaggi di contorno, gli attori secondari fanno tutti un gran lavoro. Dan Aykroid interpreta il manager di Liberace, Scott Bakula uno dei primi amanti di Scott che lo introduce a al pianista. Però personalmente ho apprezzato molto la meravigliosa Debbie Reynolds nella parte della madre di Liberace, così piccolina, dalla voce delicata e dalle movenze lente e trattenute, contrasta in maniera pesantissima il ruolo fondamentale e dominante che la madre ha avuto sulla vita del pianista. Quando Scott chiede a Liberace come si sente dopo il funerale della madre, lui risponde "Finalmente sono libero" e non aggiunge altro e l'argomento non viene più affrontato.

Se i coprotagonisti e le comparse funzionano alla grande, sono Michael Douglas e Matt Damon ad essere strepitosi. I due sanno calarsi nei panni dei personaggi, mostrandone sfumature diverse a seconda delle situazioni e tirando fuori piccoli gesti e un grande uso della voce. Douglas, che riesce a toccare il tono e il peculiare modo di parlare di Liberace ma senza cadere nella parodia, dandogli a seconda della situazione calore, desiderio o la freddezza del consumato showman. Colpisce poi il modo in cui i due riescono a mostrarsi spesso nudi in scene di intimità, sia che si tratti di sesso o di momenti di tenerezza, evitando cliché e pose da macho.

Bobbie Roode, wrestler
In questo trovo eccezionale Michael Douglas che fa vedere tutti i suoi sessanta e passa anni, con muscoli avvizziti e pettorale cadente. Una scelta ottima mostrare così tanto Liberace nudo o quasi, che contrasta con l'uomo sul palco che non può permettersi di invecchiare e perdere la sua immagine. E credo che queste scene di intimità tra i due, sia quando la storia sta cominciando e l'amore sboccia sia andando avanti tra litigi e riappacificazioni, funzionino bene perché Sodebergh riesce a mostrarceli senza sottintesi pruriginosi o ammiccanti. In queste scene intime escono sempre le due personalità che si amano anche nel contrasto: pieno di esperienza e carisma Liberace, sempre in rincorsa e meno sicuro di se stesso Scott che si trova suo malgrado rinchiuso in un rapporto che diventa più di dipendenza e da dipendente che da amante e amato. Però sempre innamorato, basandoci su quanto passa per la sua testa durante il funerale di Liberace, che muore per complicanze legate all'AIDS nel 1986. Un ultimo dialogo tra i due immaginato da Scott, una dichiarazione di amore tra le musiche del palco durante l'ascensione di Liberace al cielo.

Mohammed Alì, Liberace, Hulk Hogan. Liberace fu il timekeeper del primo Wrestlemania** di sempre.

Insomma credo sia un film dotato di vari spunti interessanti e non solo una biopic, o solo una storia d'amore o solo un dramma. Credo abbia un po' di tutto, compresi passaggi che non sfigurerebbero in qualche thriller psicologico e altri perfetti per una commedia sofisticata. Il tutto, incredibilmente, mantenendo una coerenza di fondo grazie alla capacità di Sodebergh di sfumare il tono della storia a seconda di quanto succeda ai personaggi. A tratti eccessivo, ma dopotutto è un film su Liberace che soleva dire "Si dice che troppo di una cosa buona faccia male. Io dico che troppo di una cosa buona sia meraviglioso!".


*Il titolo del post è un verso della canzone Mr. Sandman delle The Chordettes, di cui vi agevolo il video. E' solo uno degli esempi di come Liberace sia entrato nell'immaginario collettivo americano.



** Wrestlemania è lo show di wrestling più importante della maggiore promozione americana, la WWE. E' lo spettacolo che ha ridato vita al wrestling come icona pop americana.