Cinque anni fa ero sotto chemio. Non ricordo di preciso quanti mesi di chemio ho fatto. Mi stupisce sempre come certi ricordi siano molto incasinati, mentre altri siano perfettamente stagliati sullo sfondo del mio passato come le ombre dei morti sui muri di Hiroshima. Tipo: ricordo perfettamente il rumore che fece il mio fegato quando l’ago della biopsia lo forò. Però, spesso, mi confondo sulla data in cui feci il trapianto di fegato. Era il 6 ottobre 2008. A volte mi viene da dire 10 ottobre o 12 ottobre, e non ho idea del perché.
Comunque, mentre ero in attesa di un fegato compatibile, feci la chemio. Niente sacche endovenose ma compresse da prendere per bocca. Il farmaco si chiama Nexavar. Per darvi un’idea di quanti e quali effetti collaterali e controindicazioni abbia, vi dico solo che il bugiardino è un piccolo libretto, brossurato. Tra i vari effetti collaterali, a stupirmi di più è stato quello bene o male quasi sempre associato con la chemio: perdita dei capelli.
Dico stupito non perché non mi aspettassi la caduta, anticipatami dai miei dottori, ma perché non sapevo due cose:
A) I capelli, prima di cadere, fanno un male cane.
B) Se perdi capelli, sopracciglia e tutti i peli del corpo, non ti riconosci più.
Il primo punto l’ho scoperto qualche settimana dopo l’inizio della chemio. È cominciato come un forte prurito alla testa, come se avessi avuto una reazione a uno shampoo troppo forte. Ma dopo qualche tempo è diventato vero e proprio dolore. Non so se, in caso portiate i capelli lunghi, abbiate mai tenuto i capelli legati troppo stretti e troppo a lungo: quando li si scioglie c’è un attimo in cui le radici fanno male. Sembra un po’ quella sensazione di un muscolo intorpidito che inizia a formicolare. Ecco, tipo quella, ma molto più forte e ventiquattrore su ventiquattro. Poggiare la testa sul cuscino era un patimento, tanto che mi sono dovuto fare dare una lozione a base di cortisone e non so cos’altro per sedare un po’ il fastidio.
Un fastidio strano che mi dava un dolore diffuso su tutto il cuoio capelluto. Però allo stesso tempo sentivo le singole radici pulsare ogni volta che muovevo i capelli o poggiavo la testa. Possibile si sia trattato solo di immaginazione, ma ogni tanto era come avere migliaia di fili a basso voltaggio che punzecchiavano la testa, a cui seguiva un unica pulsazione come se la pelle cercasse di staccarsi dal cranio. Il fatto che li portassi molto lunghi non aiutava. Vi risparmio i dettagli su come, alle 4 di una notte insonne, li tagliai usando forbicine da unghie, sperando che avendoli più corti mi avrebbero dato meno fastidio. Speranza vana.
Dopo qualche tempo comunque smisero di fare male quasi del tutto e cominciarono a cadere. Cosa che sul momento sentii come un sollievo: meglio calvo o quasi che capellone e dolorante.
La caduta andò avanti in maniera piuttosto lenta e progressiva. Non mi capitò mai, mi pare, di vedere ciocche intere cadere o di alzarmi dal letto e trovarne a mazzi sul cuscino. Semplicemente cadevano di continuo, pochi alla volta. Infatti, anche se continuarono a cadere fino a un paio di mesi dopo il trapianto, davvero calvo non lo sono diventato.
In compenso, dalla fronte in giù, divenni glabro.
A cadere tutte e in poco tempo furono le sopracciglia e, queste si, caddero in maniera piuttosto rapida e a mazzi. Vabbè, mazzetti, date le dimensioni. Come caddero anche i peli del naso (!), la scarsa barba che mi contraddistingue e tutti i peli del corpo nel giro di qualche mese.
Immagino che per modelli e pornodivi guardarsi allo specchio e vedersi lisci e aerodinamici, come supposte con la faccia, sia la norma. Io invece ricordo che una volta sono uscito dalla doccia e guardandomi allo specchio ho pensato più o meno: “Chi cazzo sono?”.
I capelli erano cortissimi, tagliati a cazzo di cane e ormai pochi. Le sopracciglia del tutto andate, praticamente zero peli su tutto il corpo. Più un colorito e un dimagrimento da chemio che non mi rendeva esattamente un dio greco uscito dalle acque. È stato uno di quei momenti in cui ho intuito per qualche secondo cosa significa essere sul punto di perdere la propria identità fisica.
Sapete quelle scene da film in cui il nostro protagonista si trova nel corpo di un altro? Oppure ringiovanito/invecchiato di colpo? Ecco, per un attimo lungo come baratro, per me è stato un po’ così: passare dall’essere il mio solito me stesso magari un po’ acciaccato, all’essere l’ombra di me stesso o direttamente un’altra persona.
Quel volto giallognolo, con le occhiaie da quadro di Munch, senza sopracciglia, con le labbra spaccate dall’arsura da chemio che mi guardava dallo specchio era molto confuso, molto stupito e un po’ impaurito.
Sono passati cinque anni e di nuovo, se mi guardo allo specchio, sono ri-cambiato. Non c’è più quel volto emaciato a guardarmi, non c’è neppure il volto di quando avevo 20 anni ed ero in salute, nemmeno quello di un paio di anni fa quando ho cominciato in maniera più o meno cosciente e programmatica a rimettermi in piedi, nel fisico e nello spirito, con successo altalenante. Forse ci sono tutti, mischiati in varie gradazioni. O forse ogni tanto si scambiano di posto, con quello emaciato che non vuole farsi dimenticare, non lo so.
Da un annetto mi sto facendo ricrescere i capelli. Non che basti questo a chiudere col passato e guardare solo avanti. Magari è solo vanità. Magari è che mi mancano i miei vent’anni. Magari mi rode ancora averli dovuti tagliare solo perché mi facevano male. Magari fra un po’ me li taglierò, ma perché lo deciderò io. Oppure no.
P.S.
“Si sta come i capelli, sulle teste, in oncologia.” Io, non ricordo quando, rispondendo a qualcuno in ospedale che mi chiedeva come andava. Non suscitai molte risate.