Partiamo dalla fine. In chiusura di questo Narrare con le immagini, Paolo Morales (sceneggiatore, disegnatore e storyboarder scomparso nel 2013, qui la bio completa) scrive:
“Niente di definitivo. Solo alcuni fatti che generano molte domande e un’ipotesi.”
Credo riassuma molto bene l’attitudine e lo stile con cui ha scritto questo saggio. Parlo di saggio e non di manuale perché Morales lo imposta come una serie di brevissime lezioni in cui smonta immagine dopo immagine alcune sequenze di film notissimi e un po’ meno per spiegare come queste funzionano. Poca teoria, molta pratica e smontaggio.
Certo, Morales spiega la teoria che sta alla base del racconto filmico. Però non si limita a sciorinare cosa siano piani e campi facendo la lista della spesa elencandone i vari tipi. Per ognuno di loro prende una scena di un film e spiega la loro funzione narrativa: perché dopo questo primo piano ci sta meglio un dettaglio? perché questo mezzo busto di quinta sarebbe, in teoria, sbagliato ma qui funziona splendidamente?
Tutto per cercare di rispondere alla domanda che si pone ogni regista: “Come la giriamo, questa?”. Una domanda che apre decine di risposte, alcune giuste, alcune sbagliate.
Una domanda a cui si può invece dare risposta sicura è “Come l’ha girata Lui, questa?”, dove i vari Lui sono Coppola, Kubrick, De Palma e altri pezzi grossi, o anche meno grossi come Jonathan Demme, il regista de Il silenzio degli innocenti. Morales, per esempio, prende la sequenza in cui Clarice/Jodie Foster entra per la prima volta nel manicomio in cui è incarcerato Lecter: fa la conoscenza del(l’antipaticissimo) Dr. Chilton, scende con lui nei meandri dell’edificio fino ai sotterranei dove finalmente si trova faccia a faccia con Hannibal il cannibale. Pochi minuti che Morales disseziona inquadratura dopo inquadrature per dimostrare in che modo le scelte attuate da Demme funzionino per sottolineare il punto di vista di Clarice e aumentare il coinvolgimento del pubblico. Potevano esserci altre soluzioni e scelte? Sicuro. Potevano essere migliori? Non è sicuro. Di sicuro c’è che queste sono state scelte con in mente una funzione ben precisa e quella riescono ad attuarla.
Ma questo è solo uno dei vari esempi che Morales si diverte (e leggendo il volume si percepisce proprio quanto lui si appassioni e diverta nello studiare il racconto per immagini, un bonus non da poco che rende la lettura ancora più interessante) a smontare, sempre sottolineando come la scelta che ogni regista e montatore attua non è detto che sia la scelta migliore in assoluto e nemmeno, magari, la più perfetta a rigor di manuale. Però, scena girata e montata alla mano, è una scelta che ha dato un risultato ottimo.
Quindi pratica pratica pratica, sia quando si scrive/disegna/gira sia quando si studia: guardare un film o leggere un fumetto per godersi la storia è un conto, ma poi se uno vuole capire davvero come raccontare per immagini lo deve pure smontare. Senza dimenticare comunque quel minimo di teoria che sta alla base di un certo modo di raccontare. Come a esempio l’effetto Kuleshov, vecchio come il cucco, teorizzato negli anni ’10/’20, ma ancora alla base del racconto per immagini. Ovvero che il significato di un’immagine cambia a seconda del contesto in cui questa viene inserito: la stessa identica immagine dello stesso attore, con la medesima espressione, cambia e appare diversa a seconda dell’immagine cui viene giustapposta. Si certo, per voi uomini moderni e di mondo è ovvio, ma agli albori del cinema tutto andava imparato e sperimentato passo passo per capire come manipolare l’emozione degli spettatori. E guardando l’esempio usato da Kuleshov e quello successivo di Hitchcock che vedete qua nel post, c’è da chiedersi quanto si sarebbero divertiti oggi a giocare coi meme.
E “giocare” mi pare sia un attitudine che per quanto non esplicitata da Morales venga un po’ sottintesa nel suo scrivere: ci sono immagini che ci passano per la testa, ci sono metodi per poterle rendere reali, scopriamo quali funzionano e quali no. Spingiamoci oltre il già visto e già fatto e vediamo dove possiamo arrivare. Nell’ultima parte del volume Morales parla di Kill Bill di Tarantino, e analizza una sequenza d’inseguimento presa da Bad Boys II di Bay (sapete quale, quella con le auto lanciate dal camion). Ora, al di là di quello che pensate dei due film e dei due registi, è innegabile che siano due che si divertono in quello che fanno e non si fanno problemi a spingersi sempre più in là nel fattibile. I risultati possono essere molto diversi tra loro, ma la voglia di provare è, credo, innegabile.
Insomma, ‘sto saggio me lo sono proprio gustato. Se siete del tutto digiuni dal linguaggio tecnico del cinema non è un problema: Morales spiega bene e in maniera sintetica la terminologia necessaria per comprendere tutto. Se già masticate un po’ le cose secondo me non vi potete annoiare perché gli esempi analizzati sono così tanti, così diversi e raccontati così bene da potervi dare di sicuro qualche spunto su cui riflettere, o farvi venire voglia di rivedere i film citati per osservarli con occhio più critico.