Un horror con lupi mannari e residenze per anziani. Combinazione che così su due piedi potrebbe far venire in mente solo scenari da commedia o robe grottesche come l’ottimo Bubba Ho-Tep. E invece Late Phases rimane più saldo nei territori dello slasher, anzi per certi versi quasi più in quello del thriller. Ma tralasciamo le etichette un po’ riduttive e via di brevissima sinossi:
Ambrose è un reduce del Vietnam. A causa di una ferita di guerra, ha perso la vista. Ora, vedovo, spinto dal figlio, si trasferisce in una residenza per anziani, in compagnia del suo cane accompagnatore, Shadow. Qualcuno nella residenza però è un lupo mannaro. E Ambrose è cieco, ma è pur sempre un soldato da trincea.
Vabbè, più che una sinossi è l’high-concept che regge il film, ma non è raccontandovi per filo e per segno la trama che posso farvi venire voglia di vedere il film. Soprattutto perché con una premessa del genere, o siete già incuriositi o difficilmente è un film per voi. Mi preme però sottolineare un paio di aspetti della pellicola che me l’hanno fatta apprezzare.
Uno su tutti il personaggio di Ambrose, il protagonista. Come dicevo si tratta di un uomo maturo, vicino agli ultimi anni della sua vita e consapevole della cosa. Come dice a suo figlio nei primi minuti del film “La gente in questi posti non ci viene per vivere, ma per morire.”. Non è facilissimo incontrare film con protagonisti e co-protagonisti persone anziane, soprattutto se non si tratta di commedie o drammi. Tanto meno film horror.
E se la scelta di un protagonista dal pelo grigio potrebbe essere solo una gimmick, in Late Phases mi pare non sia questo il caso. Ambrose non è una macchietta, non è l’anziano burbero dal cuore d’oro, non è nemmeno l’eroe d’azione pronto a funamboliche imprese in cui si mette a spaccare i culi con battute e strizzatine d’occhio.
Si, è un uomo vigoroso, che non si lascia impressionare più di tanto dal fatto di essere puntato da un lupo mannaro. Ma ha le tempistiche e le maniere, per quanto piegate alle esigenze di pellicola, di un uomo di una certa età. Se la scrittura del personaggi, spigoloso, duro, pieno di rancore verso se stesso e le sue scelte di vita sbagliate sono un’intelaiatura interessante e solida, a renderla piena e vita è chi lo interpreta, cioè Nick Dominici.
Dominici riesce a nello stesso tempo a rendere Ambrose un uomo duro come la pietra, senza compromessi, di poche parole e dalla lingua tagliente. Senza cadere però nel ridicolo involontario o nella parodia inavvertita di altri CazziDuri del cinema. Una faccia di cuoio tra Clint Eastwood e Charles Bronson, ma con una punta di ironia nera che rende meno iconico e più umano il volto di Ambrose. Molto spesso sembra sul punto di annichilire qualcuno dei suoi vicini con una battuta da cecchino, ma il più delle volte sono il silenzio e le sue movenze a parlare per lui.
E di silenzi nel film ce ne sono parecchi. Dopo un inizio un po’ in contropiede, che ci mostra da subito il mostro antagonista della storia, seguiamo per lo più “l’indagine” che Ambrose segue per capire chi sia il lupo mannaro e come sconfiggerlo. Il soldato che è in lui prende il sopravvento: studia l’ambiente della riserva, affina le armi di cui è in possesso, impara a memoria la planimetria della propria casa. E compra proiettili d’argento. Il tutto senza scomporsi più di troppo. Dopo il primo attacco Ambrose, pur non essendo stato in grado di vedere il lupo mannaro a causa della sua cecità, ha capito, o forse solo deciso, che c’è un lupo mannaro e che gli rimane un ciclo lunare di tempo per prepararsi. Questo suo approccio metodico, razionale e, per certi versi, banale rende il tono del film una questione pratica, per quanto riguarda l’aspetto “uccidere o essere uccisi”. Niente di mistico, niente di sovrannaturale, niente di satanico.
A parte qualche accenno sulla questione licantropia che viene toccato una volta scoperta l’identità del mannaro (con una sequenza di trasformazione lunga, old school ed effetti speciali pratici), il resto della pellicola è ben calata nel realismo. Che non significa sia calcata nel realistico, o nel perfettamente logico.
E qui arriviamo a uno dei pochi punti in cui la pellicola scricchiola. Proprio per queste scelte pratiche, il momento in cui finalmente i licantropi assaltano Ambrose che si è barricato in casa armato di pistola e fucile da cecchino, richiede una certa dose di suspension of disbilief da parte dello spettatore.
Diciamo che un paio di scene sono un po’ dure da digerire. Ma credo dipenda molto da quanto ci si senta coinvolti dalla pellicola fino a quel momento. Quando Ambrose, che è cieco, imbraccia il fucile da cecchino, lo spettatore penso debba fare una scelta quasi conscia: o hai deciso di vedere le cose come Ambrose (rimshot) e la sparatoria sarà una delle più tese e soddisfacenti che hai visto, o tutto finirà in un paio di micette e costumi di gomma.
La parte di me che sta imparando a scrivere e raccontare le storie quando si arriva a quel punto (e di punti simili ce ne sono in un sacco di film che mi piacciono) è sempre scissa tra il godersi la scena dal punto di vista emotivo da una parte e l’appuntarsi in testa “l’errore” narrativo dall’altro. È uno sdoppiamento di cui non riesco mai a trovare una riunificazione, per me sono due realtà percettive che ora come ora convivono.
Insomma, secondo me è un film bello teso, che parla in maniera particolare dell’anzianità e del rapporto che abbiamo un po’ tutti coi vecchi (ovvero: li escludiamo dal resto della società), con un protagonista molto buono interpretato molto bene. Ogni tanto scricchiola, ma mi pare lo faccia in maniera onesta.
Diretto da Adrian Garcia Bogliano, scritto da Eric Stolze. Qua la pagina wiki.
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