Uno degli aspetti che apprezzo del mio lavoro è la possibilità di imparare qualcosa di nuovo, anche su argomenti che magari conosco già abbastanza. Nel momento in cui devo approfondire questa o quella cosa per poterne scrivere, finisce che mi imbatto in un aspetto che magari non avevo considerato molto, o qualche aneddoto che trovo curioso. Cosa che mi è successa ad esempio scrivendo un pezzo per la Guida alla letteratura fantastica dedicato a Wonder Woman: mi sono imbattuto nella copertina del numero 202 della testata a lei dedicata, che vedete qua sotto, e, a seconda di quanto seguiate la letteratura fantasy, potreste trovarla più o meno curiosa anche voi.
Wonder Woman 202 |
Magari non la riconoscete ma la tipa in bianco è proprio lei, Wonder Woman, la Principessa delle Amazzoni, Diana. Siamo nel 1972 e la DC Comics, sentendo l’aria che cambia nella cultura americana, decide di rivedere la sua eroina di punta: togliamole i poteri, togliamole il costume iconico, uccidiamole l’amante e caliamola nella realtà quotidiana. Non più semi-divinità a combattere minacce sovrumane coi suoi colleghi Superman e Batman, ma la proprietaria di una boutique alla moda che nel tempo libero combatte un coacervo di cattivi, trafficanti e spie internazionali. Seguita dal mentore I Ching che l’ha istruita nelle arti marziali, Diana Prince negli anni ’70 riflette il tipo di eroina dei suoi tempi, un po’ Emma Peele nello stile, meno divina e più terrena. Non troppo, comunque se nella copertina la vediamo dalla parte sbagliata di un barbaro armato di spadone, mentre cerca di proteggere col suo corpo Catwoman. Ma chi è quel barbaro? E il tipetto sullo sfondo?
Sono rispettivamente Fafhrd e il Gray Mouser, coppia di avventurieri tra le più note agli appassionati di fantasy. Ideati da Fritz Leiber negli anni ’30, i due sono stati protagonisti di svariate storie dalla varia metratura e questa copertina determina il loro esordio nel mondo a fumetti. Non ne avevo idea; ero rimasto alla serie regolare che la DC dedicò ai due, intitolata Sword of Sorcery, e soprattutto all’adattamento sceneggiato da Howard Chaykin e disegnato da Mike Mignola, il babbo di Hellboy. L’avventura in compagnia di Diana e Catwoman funge proprio da trampolino di lancio per lanciare Sword of Sorcery, che uscirà a partire dal 1973 dalle mani, tra gli altri, di Dennis O’Neil, Chaykin, e Walt Simonson.
"Come mai Conan non le deve fare ste marchette, Fafhrd?" |
Se vedere questo quartetto in copertina mi ha colpito, scoprire chi ha scritto questo albo è stata un’altra bella sorpresa: Samuel R. Delany. Autore in attività dai primissimi anni ’60 che spazia dalla sci-fi al fantasy, interessato da sempre a parlare di temi a lui cari nelle ambientazioni che più gli aggradano: linguaggio, percezione della realtà e sessualità, tra gli altri. Conosciuto soprattutto per le sue storie che approfondiscono questi temi senza lasciare nulla di intentato, può sembrare una scelta un po’ curiosa come autore per Wonder Woman. Ma come accennavo sopra era un periodo di innovazione o per lo meno in cui si tentavano strade un po’ meno battute nel fumetto di supereroi. La rivoluzione subita da Wonder Woman non è stata voluta da Delany, arrivato sulla testata a cose fatte succedendo Dennis O’Neil, ma gli dava la possibilità di lavorare su un personaggio più nelle sue corde: una donna calata nella propria realtà, costretta a confrontarsi con una società in cambiamento che vedeva, nella realtà, il ruolo della donna evolvere, mutare e cercare il proprio posto.
E Delany si offre di fare proprio questo, prendere Diana e metterla contro temi caldi dell’epoca, ma attuali in ogni tempo: sfruttamento sul lavoro, discriminazione accademica e aborto. Tutte idee che non hanno visto la luce dato che la DC Comics decise di non portare a compimento le storie di Delany a causa delle critiche che molti lettori portarono nei mesi precedenti al rinnovamento del personaggio: la nuova versione di Wonder Woman non piaceva ai vecchi fan affetti da nostalgia e attaccamento allo status quo. In particolare questa nuova versione meno mitologica di Wonder Woman venne criticata da Gloria Steinem: togliere i poteri a Diana significava de-potenziarla, farne morire l’amante significa de-sessualizzarla, farle dismettere il costume significava farle abbandonare un simbolo che ne cancellava l'aspetto di icona femminile costruitosi nel tempo.
Con buona pace di Delany, e soprattutto mia che avrei letto volentieri quel tipo di storie, la DC decise di dare retta alle critiche dei fan, sfruttando con ogni probabilità le critiche della Steneim per legittimare il successivo ritorno alle origini. Così dopo il numero 203 che introduce la trama voluta da Delany, a partire dal 204 si torna alla classica Wonder Woman con tanto di lasso della verità.
Wonder Woman 203, scritto da Delany |
Wonder Woman 204, non scritto da Delany |
Ora, la storia di Wonder Woman è complessa, come lo sono le storie dei personaggi seriali, in particolare quelli che stanno in giro da più di 70 anni come lei, e questo è solo un piccolo aneddoto. I personaggi seriali mutano in continuazione, in un perenne tira e molla tra una realtà delle origini che si deve adattare alla realtà del momento attuale, una frizione che può portare cose interessanti come banalità assortite. Questo è il concetto sotteso al mio pezzo che trovate sulla Guida alla letteratura fantastica e che spero sia passato, insieme a notizie, di nuovo curiose per il sottoscritto, a proposito del suo creatore William Moulton Marston, la cui vita varrebbe di sicuro un film. La Guida la trovate in libreria, edita da Odoya, per la curia di Claudio Asciuti.