lunedì 29 aprile 2013

Tette e culi, ma anche no: MsChif, microbiologa di giorno, lottatrice di wrestling la notte



 Che a leggere il titolo del post uno pensa subito a qualche improbabile personaggio seriale. Invece MsChif, vero nome Rachel Collins, è una persona vera. Come veri sono gli infortuni che ha subito in una dozzina di anni sul ring.

Rachel Collins si è laureata come genetista e lavora come microbiologa presso un laboratorio di analisi a Saint Louis, in Missouri. Però per sfogarsi indossa i panni di MsChif e passa i weekend a combattere sul ring nello strano e stratificato mondo del wrestling professionistico americano.


MsChif si muove nel circuito indipendente, quello dove di soldi se ne vedono davvero pochi. Se avete visto The Wrestler con Mickey Rourke, vi sarete fatti un’idea della vita che fa un wrestler che non è parte della serie A (cioè, negli USA, fare parte della WWE) o che magari ne faceva parte e ora è costretto a combattere di fronte a una cinquantina di persone. Magari in una palestra del liceo. MsChif di fronte a poche persone ci ha combattuto un sacco di volte, dando sempre il massimo.



Ci sono tanti wrestler che lo fanno perché non riescono a passare al livello successivo. Magari non ne hanno le qualità. Magari non si sanno gestire. Ci sono altri invece che cominciano dal circuito indipendente per farsi un nome, imparare e guadagnare qualcosa mentre cercano in tutti i modi di arrivare alla WWE. Negli ultimi anni gente come CM Punk, Daniel Bryan, Austin Aires, Sara Del Rey e altri ci sono riusciti. Altri ci stanno provando, come El Generico.

Però ci sono altri che si muovono nel circuito indipendente perché a loro sta bene farlo. MsChif è una di queste, come ha sottolineato in alcune interviste. Il wrestling indipendente funziona un po’ come ogni circuito indipendente: meno soldi, meno certezze, più libertà. Un po’ come scrivere fumetti o fare musica: se entri all’interno di una major, devi sottostare a determinate regole. Se sei indipendente, fai un po’ come ti pare.

E MsChif, che lotta dal 2001, ha combattuto in Europa e in Giappone, ha detenuto diverse cinture di campionessa anche per lunghi periodi, si trova nella situazione di non voler perdere la libertà che il circuito indipendente le garantisce. SHIMMER, Ring of Honor, NWA sono alcune delle promozioni in cui si muove/si è mossa.

MsChif ha creato da se il proprio personaggio, unendo le sue passioni per film horror e musica metal estrema. Ne è uscita una sorta di banshee incazzosa che picchia come un fabbro ferraio. Sfruttando il suo passato di ginnasta e ballerina ne ha preso parti e le ha fuse nel suo repertorio di mosse, mostrandosi come una che cerca sempre di evolversi e innovare. Dal momento che il suo lavoro di microbiologa le paga le bollette, può godersi il wrestling più come una passione che come un lavoro.




Senza che questo vantaggio la renda meno attiva e prolifica. Come dicevo in apertura, si è infortunata diverse volte: menischi partiti, pezzi di lingua mozzicati via, spalle divelte, caviglie rotte. Più un paio di traumi cranici. Uno dei traumi le è capitato all’inizio di un match. Sul momento dice di non aver avuto paura, per il semplice motivo che non ricorda nulla del match. La paura le è venuta guardando il filmato, proprio perché non ricorda nulla di quanto è avvenuto dal trauma in poi.

E guardando i suoi incontri ci si rende conto di come MsChif sia una lottatrice che fa del wrestling (inteso come lotta) il suo punto di forza. Oltre ad essere attraente e a possedere un carisma particolare che esce nei suoi promo e nel rapporto col pubblico (e che mi ricorda un po’ Luna Vachon e un po’ Sherri Martel), MsChif mostra di essere dotata di capacità atletiche di tutto rispetto. Sia nel mosse con cui si lancia urlando contro gli avversarsi, ma ancora di più in quelle che accetta di subire.


La ragazza non si fa troppi problemi a trovarsi dalla parte sbagliata di lariat, powerbomb, piledriver, sia sul ring che al di fuori dello stesso, magari sul cemento o attraverso tavoli e scale. E sfruttando il suo passato di ginnasta e ballerina, si fa annodare come un pretzel in torture rack o boston crab che solo a vederle fanno tremare le mie vertebre.

Capacità atletiche, carisma e un aspetto piacevole. Tutto quello che serve a una donna per sfondare nel mondo del wrestling. Molti chiedono a MsChif perché non abbia ancora provato a entrare nella WWE (o nella TNA, la seconda, di molte lunghezze, promozione americana di wrestling) dove potrebbe, in caso di successo, guadagnare davvero dalla sua passione e dalle sue capacità.

E lei risponde che non le interessa. In parte perché non ha intenzione di smettere di fare la scienziata, un lavoro che ama e fa con altrettanta passione. Un amore nato grazie ai suoi genitori, in particolare al padre a sua volta scienziato. 

In parte perché, conoscendo il tipo di wrestler femminile che WWE e TNA portano al top, si rende conto che MsChif verrebbe quasi certamente rielaborata per andare incontro al tipo di immagine che tira di più: t’n’a. Ovvero, tits and ass, tette e culi. Questa formula riassume la visione che nel mainstream si ha per le lottatrici di wrestling: belle gnocche in vestiti il più possibile succinti che sculettano sul ring (e il t’n’a imperversa un po’ in tutto il mainstream: videogiochi, fumetti, cinema).





Attenzione: questa è l’idea che va per la maggiore e che, soprattutto esteticamente, viene pompata di più dalle grosse promozione. Si tratta appunto di un tipo di immagine, di personaggio, che viene scritto e spinto dai produttori. Un’idea che si scontra spesso con le reali capacità atletiche e di intrattenimento delle lottatrici che fanno parte dei roster di WWW e TNA (che, se ve lo state chiedendo, non sta per tits and ass, ma per TOTAL NON STOP ACTION). Vi si scontra perché a volte a essere spinte al top sono lottatrici che non hanno capacità, ma solo il look. Secondo MsChif è un trattamento che sminuisce la bravura, la determinazione e gli anni di mazzo che un sacco di ragazze si fanno e si sono fatte per imparare ad essere wrestler. Ed è un trattamento che preferisce non dover rischiare di subire.

Perché per MsChif il wrestling, anche se non è il suo lavoro principale, è qualcosa che merita di essere trattato con rispetto, come con rispetto vanno trattati gli uomini e le donne che decidono di rischiare la salute per intrattenere il pubblico con le loro mosse incredibili e  le loro storie improbabili.


Mai improbabili quanto la realtà.

giovedì 18 aprile 2013

Return to Oz. O di quando volevano fare l’elettroshock a Dorothy.


Manca solo Michael Jackson
Dorothy pensa sempre a Oz. Sono passate alcune settimane dalla sua avventura, e non ha altro per la testa. I suoi zii sono preoccupati che l’ossessione della ragazzina non passi più. La portano da un luminare della scienza che decide di sottoporla alla sua cura elettrica. Il dottore è convinto che il cervello funzioni come un apparato elettrico. Quando fa i capricci basta regolarlo con le sue apparecchiature. Assicura che dopo la cura, Dorothy non penserà mai più a Oz. Quando dottore sta per far partire la macchina, Dorothy riesce a scappare e, caduta in un fiume, si risveglia a Oz. Ma il mondo non ha niente di meraviglioso, tutto sembra in rovina e spento...




Questa è in maniera sintetica la premessa di Return to Oz, uscito negli anni ’80 negli USA. Ora, per essere onesti, nel film non viene mai detto “elettroshock” e Dorothy non viene mai definita pazza. Però basta guardare tutta la parte ambientata nella clinica del buon dottore per rendersi conto che di questo si tratta. Certo, non siamo dalle parti di Qualcuno volò sul nido del cuculo, però la sequenza in cui Dorothy  dopo aver passato la giornata da sola in una stanza più simile a una cella, viene messa su una lettiga e bloccata con cinghie di cuoio, per essere poi portata nella stanza del macchinario, mette una discreta ansia. Siamo di notte, fuori c’è tempesta, il portantino e l’infermiera hanno due facce che sembrano uscite da un film di Lynch. Il dottore poggia gli elettrodi sulla testa della bimba e giusto un fulmine preclude l’accensione del macchinario.

E vi ho detto che durante la sua permanenza Dorothy vede una bambina che non si capisce bene se è un fantasma o un’allucinazione?

Ma se quello che succede in queste scene è un po’ inquietante, ad avermi colpito sul serio è la motivazione che il dottore da per l’uso dell’elett... della cura elettrica. Secondo lui la fissazione di Dorothy è solo una fantasia della bambina. In quanto fantasia che non si confà al mondo adulto, va eradicata dalla mente di Dorothy.

Mi pare una motivazione molto forte e che può colpire i bambini. La minaccia di vedersi cancellati sogni, desideri e fantasie per mano di un adulto che non si sa se non capisce i pensieri dei bambini, o se peggio li capisce ma li trova sbagliati e da curare.

Con l’elettroshock.

E il resto del film non è che sia una caleidoscopio di allegria e facezie. I cattivi son inquietanti. 


In particolare la strega Mombi, che ha l’hobby di collezionare teste. Ma anziché impagliarle, le tiene in vita in teche di vetro. E a seconda dell’umore con cui si sveglia ne indossa una piuttosto che un’altra. E oltretutto, dorme senza testa.


Anche il Nome King è inquietante, nel suo tentativo di passare dallo stato di elementale/spirito della terra a quello di umano/vivente. Lo vediamo attraversare varie fasi di trasformazione (con effetti speciali pre-digitale che mi pare reggano ancora bene) per poi fare una pessima fine sul finale. Perché il Nome King muore, e muore male. Con quella certa agonia per nulla divertente e rassicurante che, se avete mai visto Roger Rabbit, vi potrebbe ricorda quella del Giudice: per essere un film per famiglie/bambini, dura quell’attimo di troppo e indugia quell’attimo di troppo sulla voce straziata della vittima.

E questi, se avete visto il film, secondo me ve li ricordate
Ma se i cattivi, in quanto cattivi, ci sta che siano inquietanti, a me hanno colpito anche i compagni di ventura di Dorothy.

Senza andare troppo nello specifico del quartetto, mi interessa evidenziare come tre di questi specifichino lungo la pellicola il loro stato esistenziale. Perché tutti e tre non sono morti, ma non sono nemmeno vivi. 

Come dice Tik-Tok, il robot-armata, “Posso muovermi, posso parlare, posso pensare, ma non sono vivo”. Non è che se ne lamenti, lo dice solo perché così stanno le cose. Un po’ come Jack Pumpink Head e il Gump, personaggi messi in piedi arraffando cose più o meno a caso e che vivono grazie alla Polvere della Vita. Però pure loro non sono vivi nel vero senso della parola, ma stanno in un limbo tra l’essere vivente e l’essere morto. In particolare Gump, che in un momento di levità dice di ricordarsi il momento della sua morte, quando brucava tranquillo nel bosco e ha sentito uno sparo (Gump è una testa d’alce impagliata. Viene attaccato a un divano. I suoi compagni lo usano come mezzo volante. E’ un film particolare.).

A questo si aggiunga che Jack, che non sa bene chi sia ma sa di non avere una madre, chiede a Dorothy se può chiamarla mamma, anche se lui sa non esserla. Così, tanto per buttare bacinelle di allegria nel film. 

Insomma, diversi temi e diverse immagini che mi colpirono da bambino quando lo vidi la prima volta e che pure da adulto trovo, se non sempre efficaci, comunque suggestive.

Il tutto confezionato, per andare contro Il mago di Oz con Judy Garland, con un design in cui colori, costumi e luci fanno di tutto per non essere vivaci, allegri e scanzonati. Un patina di tristezza abulica sembra impregnare tutto il film e il mondo di Oz. Per certi versi sembra avere un qualcosa di post-apocalittico nella messinscena. 

Dorothy di Hokuto
Ammetto che mi ha messo una discreta voglia di leggere i lavori di Baum su cui è basato, cosa che ad esempio non mi è mai capitata guardando il film degli anni ’30.