venerdì 23 settembre 2011

Mio nonno al Giro d'Italia. O era Achille Campanile?

A me il ciclismo non piace. Ci vuol tutto che sappia andare in bicicletta, e mi stronco le gambe con lo spinning solo per ordine perentorio del dottore. Quindi ho acquistato Battista al giro d'Italia giusto perché di Achille Campanile. Nessun pentimento dato che come sospettavo mi ha fatto ridere parecchio.

Però leggendolo mi sono ricordato di quando da bambino mi sedevo sulla non gamba di mio nonno e ogni tanto seguivo una tappa del Giro d'Italia con lui. La sua naturale giovialità e l'entusiasmo con cui guardava quello che gli piaceva, si trattasse di ciclismo, calcio o automobilismo, mi rendeva le tappe più sopportabili. Quando c'era un arrivo in volata particolarmente combattuto, potevo addirittura trovarmi a tifare per gente di cui non conoscevo manco il nome.

Ma al di là dell'agone sportivo, ricordo che mio nonno si beava in particolare del contorno. Gli piaceva vedere la folla che si teneva stretta stretta ai lati della strada, chiedendosi da chissà quante ore aspettassero il passaggio dei ciclisti. Gli piaceva vedere strade e piazze imbellettate con ghirlande, gagliardetti, striscioni. Oppure le scritte su cartelli tenuti in mano dai tifosi o scritti col gesso per terra. Soprattutto gli piaceva poter vedere i vari paesi per cui passava il giro, un'occasione, per uno come lui che aveva viaggiato pochissimo per questioni di salute e soldi, di conoscere angoli e scampoli d'Italia. Bene o male ogni volta che parlava di una tappa non si soffermava tanto sulla gara o sui ciclisti, ma sul tal borgo, la certa chiesa inquadrata dal'alto, o le fontane magnifiche di chissà quale città. E finiva sempre sorridendo con <>

Ecco, immaginatevi la mia faccia quando nel libro di Campanile ho letto questo passaggio:

Ore 12,45 -- Battista entusiasta del panorama.
<> dice << è davvero bella.>>
Per ammirare il paesaggio, siede su di un muricciolo.


Ed è solo uno tra i tanti momenti in cui Campanile riesce a rendere l'effetto di vero e proprio viaggio alla scoperta d'Italia che doveva essere il Giro in quegli anni. Siamo nel 1933 e solo radio e giornali davano notizie delle varie tappe, condite con robuste dosi di colore nel descrivere le reazioni degli spettatori e gli scorci incontrati dai corridori. Avveniva a ogni resoconto la creazione di una vera e propria mitologia, con campionissimi inarrestabili, atleti dalle storie a volte umili e a volte tristi, e momenti di erculei gesti.

Campanile sostiene di avervi partecipato come corridore, per distinguersi dai suoi colleghi giornalisti che seguono la gara in macchina. Così son capaci tutti. Lui invece si fa tutte le tappe, accompagnato dal fido maggiordomo Battista, in bici anche lui. E con loro i corridori veri, alcuni dei quali vengono assoldati da Campanile per fondare il gruppo "Sempre in coda!". Tra i baldi giovini ricordiamo il Puma di Cercola, il Leopardo di Barra, l'Armadillo di Brindisi, il Canguro delle Puglie e l'Upupa delle Gallie.

In una credibile fusione di finzione e realtà, vere tappe e atleti storici del Giro vengono frullati assieme a ciclisti dai nomi altisonanti, prestazioni atletiche superomistiche e una serie di gag fulminanti, situazioni paradossali e puntate nel non-sense dall'effetto esilarante.

Finito il romanzo, o intermezzo giornalistico come viene descritto nel sottotitolo, sembra davvero di aver girato in maniera metodica ma allo stesso tempo vorticosa l'Italia. Non dico venga voglia di farsela in bici, non tutti sono coriacei come Campanile e Battista.

Però se lo avessi letto da bambino forse avrei proposto a mio nonno una bella pedalata. Certo, considerando che gli mancava una gamba e l'altra non poteva piegarla perché aveva ginocchio e caviglia bloccate, non sarebbe stato semplice. Ma come gli rispondevo quando me lo faceva notare << Eh, vabbè! Tu ti metti dietro e ti mettiamo un pattino al piede! >>.

Qua trovate l'incipit. Buona lettura.



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